Persona, la parola della Chiesa nella comunicazione sul Covid-19
domenica 10 maggio 2020
Ieri mattina, nell'ambito del 4° Festival della comunicazione non ostile, si è svolto un panel, cioè una tavola rotonda (si fa per dire, visto che i partecipanti erano rigorosamente videocollegati “da remoto”) su “La comunicazione della Chiesa ai tempi del Covid–19” (bit.ly/3clPZY6, vedi anche articolo a pagina 18). Un'ora ben spesa per chi vi si è connesso, in cui Vania De Luca ha fatto interagire Chiara Giaccardi, Mauro Magatti, Marco Tarquinio, don Alberto Ravagnani e don Dino Pirri (posso omettere le loro qualifiche?). Sottolineo qualcosa della fine e qualcosa dell'inizio, che mi pare si leghino. Alla fine del panel la padrona di casa Rosy Russo, presidente di Parole O_Stili, ha chiesto se i partecipanti potessero indicare «quale parola non può mancare davvero» nel rapporto tra virtuale e reale (punto primo del Manifesto per una comunicazione non ostile). Al di là delle loro risposte, mi è sembrato che dalla conversazione ne fosse emersa un'altra, “persone umane”. Persone che in queste settimane di «tempo sospeso» (Magatti) hanno scoperto il coraggio e la pazienza del silenzio, che è parte ineliminabile della comunicazione (Giaccardi); che attraverso le «storie straordinarie» cui abbiamo assistito «stando per strada» ci hanno mostrato cos'è un «umanesimo concreto» (Tarquinio); che, se persone credenti, nel momento in cui si sono poste in ascolto della Parola “sono state” la Chiesa anche se non potevano andare all'oratorio, fare le solite riunioni e persino celebrare le liturgie (Ravagnani, Pirri). All'inizio Vania De Luca ha introdotto il tema della comunicazione ecclesiale in questi tempi ricordando il ruolo centrale ricoperto dalle iniziative di papa Francesco, in particolare la preghiera del 27 marzo in piazza San Pietro. Leggendo nel loro straordinario impatto la conferma di qualcosa che il Papa stesso ha affermato di recente a proposito di comunicazione: «Abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita», che riveli «l'intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri».
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