Pensioni, pari opportunità
martedì 20 giugno 2006
Sono più di trenta anni che si parla di pari opportunità tra uomini e donne nei diversi ambiti dei rapporti sociali, economici e civili. Occorre risalire, infatti, alla storica legge n. 903 del 1977 per trovare un primo riconoscimento della parità uomo-donna nel mondo del lavoro. Tuttavia, benché la 903 non abbia perso col tempo la sua originaria forza applicativa, i mutamenti sociali intervenuti negli ultimi anni ed altre frammentarie disposizioni sulla parità, hanno suggerito la pubblicazione di uno specifico "Codice delle pari opportunità tra uomo e donna", contenuto nel decreto legislativo n. 198 dell'11 aprile 2006 (in G.U. del 31 maggio). Il Codice, entrato in vigore giovedì scorso, riassume e coordina diverse fonti normative contro le discriminazioni basate sul sesso, ed opera una sistemazione logica e coerente di tutta la materia. Pari previdenza. Numerosi i campi di applicazione del nuovo Codice (rapporti etico-sociali, economici, civili, politici), investendo in particolare anche i rapporti con la previdenza, in qualsiasi gestione pensionistica. Le lavoratrici, ad esempio, non possono essere discriminate nell'accesso alle diverse prestazioni previdenziali. Il Codice richiama, espressamente, la facoltà delle donne, anche se hanno raggiunto il diritto alla pensione di vecchiaia, di poter continuare a lavorare fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini. Parità assoluta, tra i vedovi e le vedove, nel diritto alla pensione di reversibilità successiva alla morte del rispettivo coniuge già in pensione o ancora al lavoro. Il criterio, già in atto per i lavoratori dipendenti dell'Inps, vale per tutte le altre gestioni pensionistiche obbligatorie, comprendendo anche i lavoratori autonomi fino alle numerose Casse di previdenza dei liberi professionisti. Assegni familiari, aggiunte di famiglia e maggiorazioni per familiari a carico, devono essere riconosciuti alle lavoratrici e alle pensionate con gli stessi requisiti e limiti di lavoratori e pensionati. Se entrambi i genitori chiedono il sussidio, va pagato al genitore con cui il figlio convive. Matrimonio e maternità. Il divieto di licenziare la lavoratrice a causa del matrimonio (per un periodo fino ad un anno dalle nozze) conferma una vecchia legge del 1963, con alcune eccezioni di carattere oggettivo. Il divieto tocca, indirettamente, il nervo scoperto della cessazione dei rapporti di lavoro in occasione di una gravidanza, ancora attuata in maniera elusiva presso piccoli datori di lavoro. Il Codice dichiara pertanto nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di garanzia, salvo conferma della Direzione provinciale del lavoro. Questi particolari divieti si applicano alle lavoratrici che dipendono sia da imprese private di qualsiasi genere (eccettuate le colf) sia da enti pubblici, salvo le clausole dei contratti, di categoria o individuali, di maggior favore.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI