Parlamentari non soldatini E così deve ancora essere
domenica 6 febbraio 2022
Ogni membro del Parlamento «rappresenta la nazione», il Presidente della Repubblica «rappresenta l'unità nazionale». C'è una singolare assonanza tra la formula con cui la Costituzione descrive il compito assegnato a ciascun deputato e senatore (art. 67) e quella che indica la funzione affidata al Capo dello Stato (art.87). Non si tratta, ovviamente, di stabilire semplicistici parallelismi o di fornire l'interpretazione autentica di enunciati giuridici che, a dispetto della loro essenzialità, richiamano dibattiti concettualmente e storicamente complessi. Però la suggestione dell'accostamento è reale. Del resto, il legame tra il Presidente della Repubblica e il Parlamento lo abbiamo visto dal vivo in questi giorni: è il Parlamento (con i delegati regionali) che elegge il Presidente ed è davanti al Parlamento che il Presidente giura fedeltà alla Costituzione, entrando in carica proprio con questo atto.
È sempre così da quando è in vigore la Carta eppure in questa rielezione del Capo dello Stato il legame è apparso particolarmente vitale, forse perché l'amplissimo consenso intorno a Sergio Mattarella è lievitato tra i grandi elettori a prescindere dalle inconcludenti manovre dei leader di partito. Alcuni deputati e senatori avranno pure avuto a cuore i loro personali interessi nel determinare la soluzione che più di ogni altra rafforza le possibilità di durata della legislatura, ma tale soluzione è anche quella che la maggioranza degli italiani avrebbe voluto e che oggettivamente risponde all'interesse generale del Paese. Ciò è stato possibile perché la Costituzione esclude il vincolo di mandato e nel caso dell'elezione del Presidente della Repubblica prevede esplicitamente il voto segreto. Due istituti - l'assenza di vincolo di mandato e il voto segreto - che appartengono alla migliore storia delle democrazie parlamentari e purtroppo vengono sistematicamente esposti al pubblico ludibrio per colpa dell'abuso che ne è stato fatto nel corso degli anni. Bisognerà tenerne conto nella riforma dei regolamenti parlamentari di cui si sta discutendo anche in vista della riduzione dei membri delle Camere. Servono regole per arginare il trasformismo del "cambio di casacca" facile, che ha raggiunto livelli compulsivi, ma non per questo bisogna trasformare i parlamentari in soldatini. Tanto più se non si dovesse riuscire ad aggiornare la legge elettorale, come pure sarebbe auspicabile, almeno eliminando quelle liste bloccate che tanto piacciono ai segretari di partito per plasmare gruppi parlamentari su misura.
Il problema - di questi tempi è bene sottolinearlo - non sono i partiti in quanto tali, ma i partiti ridotti a comitati elettorali al servizio dei rispettivi leader.
"La qualità stessa e il prestigio della rappresentanza dipendono, in misura non marginale, dalla capacità dei partiti di esprimere ciò che emerge nei diversi ambiti della vita economica e sociale, di favorire la partecipazione, di allenare al confronto", ha detto Mattarella nel discorso del giuramento. Servono "partiti coinvolgenti". Nell'attuale ceto politico non mancano personalità e forze che potrebbero dare un contributo forte in questo senso, ma i cittadini devono fare la loro parte lasciandosi se possibile coinvolgere e, comunque, premiando nelle urne coloro che lavorano per il bene comune, non i pifferai digitali. La pandemia dovrebbe averci insegnato qualcosa anche su questo terreno.
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