Nuove regole alle Camere E un blocco da far saltare
domenica 5 dicembre 2021
Camera e Senato stanno finalmente mettendo mano alla riforma dei rispettivi regolamenti per adeguarli alla riduzione del numero dei parlamentari che diventerà operativa con le prossime elezioni politiche, previste (a regime) nei primi mesi del 2023. A quanto risulta, l'intento sarebbe quello di completare il percorso entro il mese di gennaio 2022. Difficile non collegare questa tempistica con l'eventualità di un voto anticipato dopo l'elezione del Presidente della Repubblica. Eventualità solo teorica, ovviamente, e secondo molti non corrispondente agli interessi del Paese, ma realisticamente nel novero degli esiti possibili.
Quindi è doveroso che Camera e Senato si muovano. Anzi, avrebbero dovuto farlo prima, perché a differenza di altri interventi che pure erano stati annunciati per ridare equilibrio al sistema - interventi purtroppo scomparsi dai radar, come la legge elettorale - l'adeguamento dei regolamenti parlamentari non è soltanto fortemente raccomandabile dopo l'epocale taglio di deputati e senatori, ma di fatto necessario perché Camera e Senato possano effettivamente continuare svolgere il loro ruolo secondo Costituzione. È illusorio e demagogico pensare che con meno rappresentanti il Parlamento possa automaticamente funzionare meglio. In realtà il taglio pone una serie di problemi rilevanti, come per esempio la possibilità di assicurare a tutti i gruppi una presenza proporzionale nei fondamentali lavori delle Commissioni (che per questo sono destinate a essere ridotte anch'esse di numero).
Materia bipartisan per definizione e prerogativa gelosamente custodita da ciascuna Camera, la riforma dei regolamenti non ha subìto le vicende convulse di altri filoni normativi. L'impianto di fondo ha compiuto quest'anno il mezzo secolo e dal 1971 a oggi le revisioni significative sono state molto poche. L'ultima, per il solo Senato, nel 2017, quando è stata tra l'altro affrontata la questione annosa dei requisiti per la costituzione dei gruppi parlamentari, nell'ottica di contenere la tendenza all'estrema frammentazione e soprattutto di arginare i cosiddetti "cambi di casacca". Le nuove regole, pur animate dalle migliori intenzioni, non si sono rivelate in grado di incidere efficacemente su un fenomeno che nell'attuale legislatura ha assunto dimensioni macroscopiche, decisamente oltre la preziosa tutela riservata alla libertà dei parlamentari dal divieto costituzionale del "vincolo di mandato". E oggi il tema è nuovamente centrale, sia a Palazzo Madama che a Montecitorio.
Nel momento in cui si interviene sui regolamenti, ben vengano norme più stringenti per contrastare la pratica del trasformismo, ma senza per questo ridurre deputati e senatori a meri esecutori delle direttive di partiti la cui vita democratica interna lascia spesso molto a desiderare. Il rischio è che in nome del sacrosanto richiamo alla coerenza si finisca per occultare la questione che è a monte del problema della tenuta dei gruppi parlamentari, vale a dire la selezione della classe dirigente politica di questo Paese. Questione di grande complessità e che non ha soltanto risvolti istituzionali. Ma per cominciare sarebbe un bel segnale se fin dalle prossime elezioni i leader rinunciassero a quelle liste "bloccate" a cui invece sembrano tenere molto per plasmare a loro immagine i gruppi parlamentari. Certo, bisognerebbe modificare la legge elettorale. Appunto.
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