Non stanchiamoci di condividere le dure storie dei bambini soldato
mercoledì 17 febbraio 2016
Quando papa Francesco arriva al culmine di un suo viaggio, la percentuale delle notizie che ne parlano, nell'informazione ecclesiale digitale, supera regolarmente il 50%. È successo anche stavolta, con la differenza che l'anteprima cubana ed ecumenica del viaggio ha reso grandi sin da subito le proporzioni dell'interesse nei confronti delle giornate messicane.Non è con piacere che sottolineo che, a parte il Papa, solo le storie di divisioni e violenze a motivo della religione hanno mantenuto una presenza significativa nella blogosfera che frequento, con quasi il 13%; e tutte riguardavano azioni di matrice islamista. Ma sono contento che, tra queste storie, ve ne fosse una che solo poche fonti italiane hanno raccontato, un po' frettolosamente mi dicono i miei collaboratori robot, e che invece Marina Corradi, qui su "Avvenire" (tinyurl.com/jsdu4tq), ha valorizzato. Racconta di tre ragazzine imbottite di esplosivo dai loro "superiori" (o forse rapitori, chissà) di Boko Haram con l'ordine di farsi saltare in aria in mezzo a un campo di sfollati a Dikwa, in Nigeria, e di una di loro che si sottrae all'ordine, rendendo così la strage un po' meno cruenta.Non nascondo che le storie dei bambini e delle bambine soldato in Africa sono per me, che pure me le trovo spesso tra le mani, tra le più dure da leggere. Purtroppo cominciano a rappresentare una biblioteca, nutrita in genere dai volontari che, per una qualche straordinaria vocazione, si dedicano, dove è possibile, al loro "recupero". Eppure non si devono chiudere gli occhi. Non l'ha fatto Marina Corradi con le parole alte della sua cronaca-commento: «All'alba, nel massacro, nel sangue, a Dikwa una bambina inerme si è fatta donna audace: riconoscendo in sé, tenace, una vita più forte della morte». Non l'ha fatto quella porzione di Rete che le ha già riservato un meritato ascolto. Non lo farà chi mi legge, se amplierà di un poco ancora l'eco di questa obiezione di coscienza e della speranza che comunica.
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