Netflix: “Squid game” Morte tua vita mia
giovedì 14 ottobre 2021
Da alcuni giorni si fa un gran parlare di Squid game, la serie sudcoreana di Netflix, che racconta la storia di Gi-hum, sfaccendato quarantenne, divorziato, una figlia di dieci anni, scommettitore incallito, un grosso debito con banche e strozzini, che vive sulle spalle dell'anziana madre fino a che un giorno gli viene offerta la possibilità di diventare ricco partecipando a una serie di giochi ispirati a quelli dell'infanzia, che ben presto, però, si rivelano una vera e propria lotta per la sopravvivenza: chi perde viene ucciso. Il tutto nel bel mezzo di un'isola deserta, sotto il controllo di inflessibili guardie armate, vestite in tuta rossa (stile La casa di carta) e maschera nera. I partecipanti, spersonalizzati in numeri, si muovono come automi in ambienti che sembrano scatole di giochi vivacemente colorate in netta contrapposizione con la cupa violenza che si compie all'interno. Come detto, chi perde viene ucciso e generalmente lo si fa con un colpo di pistola alla testa con vistose conseguenze per cui il sangue schizza e scorre a fiumi. Soldi e morte, dunque, con la bramosia del denaro che spinge a giocarsi la vita, anche perché senza soldi la vita stessa avrebbe poco senso o comunque non potrebbe essere come uno la vuole. In questo appare evidente la critica a una società ipocrita che fa del denaro la misura della libertà e della felicità, che privilegia l'avere sull'essere e acuisce le disuguaglianze. E su questo ci sarebbe poco da dire, se non fosse che anche gli elementi di umanità che si palesano in alcuni personaggi finiscono per cedere al principio “morte tua, vita mia” attraverso una violenza gratuita che non aggiunge niente a quell'idea iniziale, anzi finisce per confonderla, con il rischio che lo spettatore si fermi, e purtroppo apprezzi, l'aspetto più appariscente che è appunto quello della lotta per sopravvivere a scapito e a disprezzo degli altri.
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