Nelle pieghe sonore del Settecento con la Messa di Natale di Galuppi
domenica 14 dicembre 2003
Venezia, Basilica di San Marco, 25 dicembre 1766: in presenza delle più alte cariche politiche e religiose della Repubblica ha inizio la Santa Messa, in quella particolare e irripetibile commistione tra sacralità e spettacolo che da sempre anima le celebrazioni liturgiche natalizie della città lagunare. Come da tradizione, il maestro della Cappella Marciana, a quel tempo Baldassarre Galuppi (1706-1785), si è occupato della composizione dei due brani centrali della funzione (Gloria e Credo, fatti pervenire da San Pietroburgo, dove Galuppi si trova per un impiego temporaneo presso la corte di Caterina II di Russia), mentre per il Kyrie ci si è rivolti al primo organista, Ferdinando Giuseppe Bertoni. Tale ricco apparato sonoro è stato oggi ricostruito dall'Athestis Chorus e dall'Academia de li Musici diretti da Filippo Maria Bressan nel disco Messa per San Marco, 1766 (pubblicato da Chaconne e distribuito da Jupiter), in cui troviamo appunto affiancati il Kyrie a quattro voci di Bertoni e i grandiosi lavori di Galuppi. Al di là della retorica solenne del Credo, è soprattutto il monumentale Gloria a imporsi per la sua folgorante varietà: quasi trentacinque minuti di musica, durante i quali il compositore veneziano fa sfoggio di un vasto e fantasioso campionario di modelli stilistici e formali - da una parte le arie solistiche e i duetti (la voce del fedele raccolto in preghiera), dall'altra le imponenti scene corali (la partecipata adesione del popolo) - in una continua alternanza di chiaroscuri espressivi. Dieci ampie sezioni che lasciano a tratti emergere una profonda vena creativa, come testimoniano la virtuosistica aria per soprano "Laudamus te", il pittoresco gioco di contrasti tra coro e solisti nel "Gratias agimus tibi", il poetico afflato pastorale del "Qui tollis peccata mundi" (ottima ribalta per la voce di contralto di Roberto Balconi) o il raffinato disegno contrappuntistico del "Cum Sancto Spiritu" finale. Merito a Bressan, dunque, per aver restituito alla luce queste ormai dimenticate pagine del Settecento religioso italiano; composizioni di non celata inclinazione operistica, attraverso le quali il grande palcoscenico della Serenissima paga un sontuoso e teatrale omaggio alla nascita del Salvatore.
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