Max cerca squadra per un altro sport
mercoledì 19 dicembre 2018
Massimiliano Monti, per tutti Max, è stato un ottimo giocatore di basket. Un centro di 206 centimetri, specialista in due fondamentali esaltanti: la schiacciata e la stoppata. Max, un colosso che sul campo si fa sentire pesantemente, mette a curriculum 21 presenze con la nazionale azzurra, fra il 1997 e il 2001. La sua prepotenza fisica sotto canestro si sposa, dolcemente, con un Vangelo tenuto sempre dentro al borsone sportivo, e con quel suo cercare una Chiesa per andare a Messa, ogni domenica, sia quando si gioca in casa che in trasferta. Max probabilmente non cambia la storia del basket e non è un fenomeno, ma si prende delle splendide soddisfazioni sui parquet di mezza Italia. Poi, nel 2013, a trentotto anni, lascia definitivamente il basket giocato e, proprio in quel momento, incomincia a trasformarsi in un campione assoluto.
Prima di tutto si laurea: Scienze economiche, giuridiche e manageriali dello sport all'Università di Teramo e, due anni dopo, la laurea magistrale in Relazioni internazionali all'Università, di ispirazione cattolica, Lumsa di Roma. A questo punto ci sono già quattro indizi: il basket (sempre vissuto da protagonista), una visione manageriale e illuminata dello sport, l'importanza della capacità di fare rete e tessere relazioni internazionali e il suo modo di stare al mondo, ispirato al Vangelo. Mixate queste caratteristiche e otterrete la meravigliosa storia che, pochi giorni fa, la rivista “Basket Magazine” è andata a scovare. Max racconta con lucidità e passione la sua nuova vita: «In Italia ho sempre trovato le porte chiuse da realtà locali troppo attente al proprio giardinetto – dice – e da istituzioni sportive che non hanno mai creduto nella mia professionalità», così si mette alla prova con un progetto in Libano, che descrive come un Paese sprofondato in una situazione drammatica, con più di un milione e mezzo di profughi siriani.
Il suo obiettivo è quello di «far sorridere i bambini attraverso lo sport». Si muove con tutte le sue competenze, perlustra il territorio in lungo e in largo e sceglie, alla fine, tre città dove il basket è meno presente: Tripoli, Menjez e Tiro. Non ci sono tanti canestri in quelle città, ma ci sono tantissimi ragazzi e ragazze profughi di guerra, principalmente siriani e palestinesi. Max si muove con attenzione e rispetto, allaccia relazioni con la Federazione libanese, il Coni gli dà una mano, lavora per ottenere un sostegno dalla Federazione Italiana, perché sta cercando di mettere a punto un modello esportabile, non solo un'esperienza affascinante. Per la somma di tutte queste ragioni parte alla ricerca di alleati: gente che abbia la sua stessa voglia di cambiare il mondo, in meglio. Cerca risorse economiche, certamente. Cerca ingegneri, progettisti, manager, certamente. Soprattutto cerca persone in quel mondo che conosce da sempre, il basket. Cerca allenatori ed ex-campioni che sentano il desiderio di parlare ancora quel linguaggio universale, facendolo in modo nuovo e capace di restituire a dei giovani un diritto fondamentale degli esseri umani: il diritto al gioco.
È una bella storia che non ha ancora il lieto fine perché Max, in sostanza, ha un gran bisogno di compagni di squadra. «Credo fortemente nello sport per tutti – dice Monti – quello di cui nessuno si occupa, ma che costituisce il 99% dei praticanti, mentre troppo spesso ci si concentra su quell'1% che è lo sport professionistico». Facciamo il tifo per questa straordinaria impresa che ci riconcilia con la bellezza, la forza, l'enorme possibilità che è nello sport e nei suoi interpreti migliori.
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