Le melodie dimenticate di Hasse sulle vicende di Mosè nel deserto
domenica 11 febbraio 2007
«Raramente nella storia della musica è dato sperimentare un dislivello tanto sconcertante tra la stima attribuita a un compositore dai contemporanei e l'oblio pressoché totale nel quale il suo nome precipita dopo la morte'»: nel paragrafo iniziale del suo prezioso volume monografico dedicato alla figura di Johann Adolf Hasse (1699-1783), pubblicato per i tipi dell'Epos, il musicologo Raffaele Mellace denuncia apertamente una delle più deplorevoli ingiustizie di cui cadono spesso vittima i grandi maestri del passato, ma che nel caso dell'artista sassone acquista quasi i toni dello scandalo. Kapellmeister a Dresda al servizio del Re di Polonia ed Elettore di Sassonia, compositore ufficiale presso la Corte imperiale asburgica, Hasse operò infatti nei principali centri del circuito culturale dell'epoca, conteso da principi, duchi, sovrani e dalle principali istituzioni teatrali europee, vivendo tra Napoli, Dresda, Vienna e Venezia. Nella città sulla Laguna, intorno al 1735 venne chiamato a ricoprire la prestigiosa carica di maestro del coro presso l'Ospedale degli Incurabili, uno dei quattro enti caritativi che offrivano alle giovani orfane loro ospiti un'istruzione musicale di primissimo livello; a quegli anni risale l'oratorio Serpentes ignei in deserto, un lavoro relativamente breve su testo latino, concepito come introduzione all'esecuzione del Salmo 51 (Miserere). Il soggetto è tratto dall'Antico Testamento e narra della rivolta degli Ebrei contro Mosè e contro il piano divino di cui egli si fa portavoce; per punizione il Signore invierà nel deserto dei serpenti velenosi, ma al pentimento del popolo farà seguito il perdono di Jahwè. La prima registrazione mondiale di quest'opera, realizzata dall'ensemble Les Paladins diretto da Jérôme Correas (cd pubblicato da Ambronay e distribuito da Ducale), rappresenta una delle rarissime incursioni discografiche nel repertorio sacro di Hasse e merita dunque una speciale attenzione; una sorta di «prova d'appello» per la fortuna postuma del compositore sassone, ampiamente superata in virtù della felice vena di ispirazione creativa dell'oratorio e dell'abilità con cui gli interpreti sono riusciti a fronteggiare le pagine di alto virtuosismo di cui è disseminata la partitura.
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