Le beatitudini del giornalista sfida a ogni comunicazione digitale
mercoledì 19 febbraio 2020
Nelle dieci «beatitudini del giornalista», tenute a battesimo in questi giorni ad Assisi nel corso dell'annuale Scuola di formazione che l'Ucsi ha intitolato a Giancarlo Zizola, vi sono alcune parole specificamente rivolte a chi comunica principalmente attraverso la Rete: influencer, youtuber, blogger, semplici amministratori di una pagina o intestatari di un profilo su un social network. Non solo perché queste "beatitudini" hanno raggiunto subito me e quant'altri non erano ad Assisi attraverso Facebook, WhatsApp e, ovviamente, il sito dell'Ucsi nazionale ( bit.ly/38I2hrG ). E non solo perché la presidente dell'associazione, Vania De Luca, ha affidato a un post sui social network ( bit.ly/37Cfu4e ) il racconto della loro genesi, nella quale hanno giocato insieme l'attività professionale, gli impegni familiari, la casualità e un angolo di casa misteriosamente propizio alla scrittura. Ma perché alcune, in particolare, contengono un'indicazione importante, che oltrepassa i giornalisti in senso proprio e raggiunge tutti quanti si ingegnano a postare qualcosa in Rete, fosse anche solo un commento, mettendo ciascuno davanti alle proprie responsabilità. «Beato il giornalista che non alimenta paure e chiusure ma che nutre fiducia e speranza» e «Beato il giornalista che riesce e raccontare buone notizie che generano amicizia sociale» sono affermazioni che sfidano la consuetudine a pubblicare o condividere notizie negative, che fomentano i nostri peggiori sentimenti verso l'altro e contribuiscono alla divisione sociale. «Beato il giornalista che è un artigiano della parola ma conosce il valore del silenzio» – l'annuncio dell'ultima di queste «beatitudini» – mette poi in discussione tutta la comunicazione digitale: perché, diciamoci la verità, in Rete la tentazione di dire qualcosa anche quando non abbiamo realmente nulla da dire è spesso irresistibile.
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