LaEffe e il docufilm su un'Italia sessista
venerdì 12 luglio 2019
Dopo le proiezioni a giugno in alcune sale italiane, è sbarcato in tv, mercoledì alle 21,10 su LaEffe (canale 135 di Sky), il docufilm di Gustav Hofer e Luca Ragazzi Dicktatorship. Fallo e basta!. A scanso di equivoci diciamo subito che nel titolo non è presente l'imperativo del verbo fare, bensì un sostantivo. Lo si capisce subito dalle frasi in sovrimpressione che appaiono prima ancora dei titoli di testa. Nella prima, attribuita a un personaggio politico internazionale, si legge che «uomini e donne non possono essere messi sullo stesso piano: sarebbe contro natura». Compare anche Silvio Berlusconi che interpellato su Trump risponde: «Mi piace molto Melania». Una successiva intervista al pornoattore Rocco Siffredi, oltre alle immagini di Mussolini che nuota, seguite da quelle di Grillo e Salvini che fanno altrettanto, chiarisce ancora meglio l'idea di partenza degli autori: il modello maschile in Italia è ancora quello del fascismo, quantomeno una parte del Paese è ancora sessista e patriarcale. Da qui una sorta di messa in scena in cui Hofer e Ragazzi (un giornalista freelance e film-maker e un giornalista critico cinematografico, fotografo e documentarista, che fanno coppia nel lavoro e nella vita da vent'anni) giocano a fare l'antimaschilista e il maschilista intrecciandoci pure la storia del loro matrimonio. L'iniziale discussione diventa il pretesto per avviare un viaggio-indagine tra quelli che i due autori reputano i pilastri del sessismo in Italia: la scuola, la politica, i media, la famiglia e la Chiesa. La scelta di campo è dunque chiara. Per cui, accanto a denunce condivisibili contro, per esempio, una squallida e volgare “Festa degli uomini” o al fatto che realmente le donne siano ancora penalizzate nel lavoro e nella carriera oltre che nel linguaggio, emergono considerazioni ideologiche come quella sui cattolici che sarebbero rimasti al Medioevo (sempre inteso erroneamente come periodo buio) basandosi sulla parzialità dell'assemblea di un movimento politico. Eppure, al netto della riconosciuta ironia, gli spunti buoni per un ragionamento più obiettivo c'erano. A partire dalla storia della prima donna laureata in Italia, nel Seicento a Padova, Elena Lucrezia Corner.
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