La spumeggiante crescita delle bollicine italiane
domenica 5 maggio 2019
Buoni e importanti. Oltre che miliardari. Sono gli spumanti (o meglio i vini spumeggianti) italiani. Una compagine di bottiglie – e di produttori –, in grado di tener testa alle migliori etichette francesi. Anzi, proprio con queste ultime, gli spumanti nostrani hanno da tempo ingaggiato una sorta di gara a chi arriva primo sul podio dell'eccellenza vitivinicola mondiale. Gara spesso vinta proprio dalle nostre produzioni. Certo, i confronti in questo settore sono sempre delicati e complessi: questione di territori, di tradizioni, di metodi di trasformazione, di aria e di clima. Ma che la spumantistica nazionale abbia fatto passi da gigante è fuor di dubbio.
E i numeri sono lì a dimostrarlo.
Stando ai dati più recenti forniti dall'Osservatorio economico e culturale consumo vini speciali, nel 2018 l'Italia ha consolidato la posizione di primo piano con qualcosa come 690 milioni di bottiglie prodotte (il 96% con il "metodo italiano") per un valore alla produzione globale di 1,7 miliardi di euro. Un tesoro, che per una parte consistente trova apprezzamento all'estero. Il mercato italiano sfiora i 198 milioni di bottiglie, quello estero arriva a 490 milioni. Quanto poi gli spumanti valgano, lo si capisce da un dato evidenziato da Coldiretti: le esportazioni di vino, se non si considerano gli spumanti, sono pressoché stagnanti (+1%) per un valore di 4,69 miliardi nel 2018. Fra i clienti affezionati ci sono Regno Unito e Usa, ma anche Germania, Russia e Francia. Già, perché anche i francesi apprezzano gli spumanti. Certo, le differenze ci sono. Il divario economico, fa notare Giampiero Comolli, presidente dell'Osservatorio, «fra Italia e Francia è ancora molto elevato: abbiamo recuperato ma la Francia esporta per 4,1 miliardi e l'Italia per 1,8 a fronte rispettivamente di 260 milioni di bottiglie francesi e 490 italiane».
Eppure le buone prospettive ci sono tutte. All'estero si allarga la platea dei consumatori di spumanti che si diffondo fra le nuove generazioni e nella ristorazione non italiana. Il Prosecco inizia ad essere consumato a tavola. È aumentata la destagionalizzazione, sono aumentati i volumi. «Purtroppo – dice Comolli –, esportiamo in 120 paesi, lo Champagne in 190». Cosa manca per fare meglio? Certamente un'azione commerciale ancora più decisa. All'estero siamo deboli (e ancor più in Italia) nel canale online che pare essere in mano a importatori e distributori, non a imprese italiane.
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