La parabola di Junior (e del calcio di base)
mercoledì 21 ottobre 2020
Si è molto parlato, in questi giorni, della prestazione nel match Crotone-Juventus di un ragazzo brasiliano che si chiama Junior Messias. “Avvenire” si era occupato della sua bellissima storia a luglio, quando fu protagonista della promozione del Crotone nella massima serie, perché Junior arrivò a Torino una decina di anni fa, senza niente. Solo con un sogno. Ho chiesto a Tommaso Pozzato, presidente di Balon Mundial, la “coppa del mondo” delle comunità migranti torinesi, dove Junior è potuto diventare il calciatore di oggi di raccontare come tutto questo sia stato possibile.
«Junior era nettamente di un altro livello. Ricordo il debutto, con una serpentina che seminò quattro giocatori, conclusa da un tiro a incrociare fermato dal palo. Sorprese tutti, entrando da riserva, nessuno riusciva a fermarlo. Ricordo anche l'unanimità con la quale tutte le comunità erano d'accordo ad assegnare a lui il premio di miglior giocatore, una cosa molto rara». Insomma, un'incoronazione. Il talento di Junior era evidente e negli anni abbiamo incontrato diversi giocatori potenzialmente predestinati, ma credo che la fortuna di Junior sia stata incontrare un contesto sociale che ha coltivato lo sviluppo della sua “fase amatoriale”: il calcio socialmente impegnato. Negli anni, Torino è stata famosa per essere laboratorio di buone pratiche sociali e anche lo sport ne è stato protagonista. Junior ha debuttato a Balon Mundial, manifestazione che nasce proprio per far incontrare le persone e creare relazioni attraverso il calcio e che è stato il luogo che ha gettato le basi per quelle relazioni che lo hanno portato a incontrare lo Sport Warique, una sorta di squadra dei migliori giocatori stranieri amatoriali dove ogni discriminazione viene azzerata. Ai tempi giocavano insieme peruviani, brasiliani, ghanesi, senegalesi, guidati da un coach che pur di aiutare i propri giocatori li assumeva nella propria azienda (avere un lavoro è determinante per avere dei documenti senza i quali tesserarsi in federazione è impossibile, molti predestinati a questo passaggio si fermano). Il passaggio successivo, per la fortuna di Junior, furono i Survivor, eccellenza del calcio sociale torinese, un progetto che mira a inserire dal punto di vista lavorativo e abitativo i suoi giocatori, in genere richiedenti asilo, con un motto: “Offrire il meglio possibile anche a chi ha di meno”. Quando Junior giocò lì, il meglio possibile aveva il nome di Ezio Rossi, ex giocatore del Torino, allenatore professionista in attesa di un nuovo contratto, volontario dell'associazione Survivor che diventò il suo mentore».
Torino propone un vero e proprio ecosistema di calcio sociale che ha permesso a questo talento di esplodere. Altri prima di lui non hanno avuto la stessa fortuna, ma il calcio è diventato il vettore per trovare lavoro, un'abitazione o creare una rete sociale per sentirsi a casa. Il calcio sociale è calcio di base, quello che in questi giorni sta sospendendo le attività causa Covid. Lo sport, il calcio in particolare per la sua diffusione universale, rappresenta per molti ragazzi (e ragazze) migranti il primo momento informale di incontro con dei pari età. Per molti richiedenti asilo, vittime di percorsi di vita pieni di traumi e violenza, lo sport ha un valore terapeutico. Gli operatori dei progetti segnalano cambiamenti significativi su umore, costanza, nei ragazzi che partecipano regolarmente ad attività sportive. Sospendere lo sport di base significa rischiare di aumentare l'esclusione sociale dei soggetti più fragili che trovano nello sport un luogo di espressione, di relazione, di apprendimento delle regole e della lingua.
Chiudere il calcio di base significa rinunciare (anche) a tutto questo valore.
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