L'alimentare italiano conquista l'Oriente
domenica 15 settembre 2019
La Cina è sempre più vicina. E non in senso negativo come, fino a poco tempo fa, era opinione comune (suffragata fra l'altro dai fatti). Che in arrivo dall'Asia vi siano ancora tonnellate di materie prime alimentari di dubbia qualità, è un fatto. Ma che, intanto, la Cina abbia compiuto importanti passi in avanti nell'apprezzamento delle bontà agroalimentari italiane, è un altro dato inconfutabile. Certo, che si tratti davvero di un cambio di abitudini alimentari è difficile dirlo. Per ora occorre registrare i segnali: uno dei mercati più grandi, importanti e promettenti per l'economia mondiale, pone un'attenzione che prima non aveva nei confronti dell'agroalimentare italiano. Uno degli esempi in questo senso, arriva dalla Cirio con il suo pomodoro 100% italiano che nel 2018 ha accresciuto le vendite in Estremo Oriente del 34%: una tendenza confermata anche nel primo semestre del 2019. Adesso il marchio storico dell'agroalimentare nazionale – da qualche tempo in mano a Conserve Italia e quindi al sistema della cooperazione –, con l'obiettivo di consolidare questo andamento positivo e accrescere la conoscenza delle proprie eccellenze nei mercati del Far East, ha aperto nei giorni scorsi lo stabilimento di Pomposa (Fe) a un gruppo di giornalisti della stampa specializzata provenienti da Cina e Hong Kong, nell'ambito del progetto triennale europeo "The European Art of Taste: Italian Fruit & Veg Masterpieces" promosso da CSO Italy. Non si tratta di cosa di poco conto, visti proprio i precedenti. Ma che il sistema degli scambi alimentari mondiali stia cambiando – e non solo sotto la pressione dei dazi imposti dalla guerra commerciale Usa-Cina –, lo si vede dalla serie di mercati che ormai sono toccati dalle vendite di Cirio: oltre che Cina e Hong Kong anche quelli di Corea del Sud, Vietnam e Indonesia. A spingere l'incremento sarebbero soprattutto i canali dell'e-commerce (molto sviluppato in questi mercati) e del food service, che da solo sviluppa quasi il 50% del volume d'affari nel Far East. Tutto bene quindi per le nostre esportazioni agroalimentare nell'Estremo Oriente? Probabilmente no. È indubbio che vi siano ancora molti ostacoli da superare e molti nodi da sciogliere, ma che dei passi importanti siano stati fatti è altrettanto certo. Occorre insistere e fare in modo che i grandi marchi dell'agroalimentare nazionale, possano funzionare da apripista per altre produzioni. Un'operazione non facile, nella quale conta molto il coordinamento e la cooperazione fra i diversi attori della filiera alimentare italiana.
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