In foto e in Rete, le clarisse hanno un segreto: sono credibili
domenica 21 maggio 2017
Il fatto che, a causa di Facebook, il monastero di clausura di Santa Chiara di Oristano sia finito su Vanity Fair ( tinyurl.com/krhkr3d ), con tutto ciò che, da Thackeray fino al Qoèlet, tale testata evoca, potrebbe arricchire i dossier di chi, ogni volta che un "nuovo" media si affaccia sulla scena della comunicazione, è pregiudizialmente sospettoso verso le contaminazioni che si possono stabilire tra esso e le realtà ecclesiali.
A me invece tornano in mente il celeberrimo radiodocumentario "Clausura", che Sergio Zavoli realizzò nel 1958 intervistando una carmelitana scalza nel monastero di Bologna (seguì la versione televisiva), e il film-documentario del 2005 "Il grande silenzio", girato da Philip Gröning tra i monaci della Grande Chartreuse, nei pressi di Grenoble. Quante persone si saranno avvicinate grazie a loro a questa vocazione esigente? Al fondo, è lo stesso motivo per il quale in Rete la presenza di famiglie religiose, anche contemplative, è registrata da tempo.
Insomma, apprezzo che un monastero, piccolo perché ci vivono oggi dieci monache e prezioso perché antico scrigno di fede e di preghiera, si sia aperto al pubblico, tramite una mostra fotografica, una pagina Facebook per ora concentrata nel promuovere la mostra, un sito-blog ( tinyurl.com/k68qlb3 ) e gli altri connessi arnesi digitali. Perché lo ha fatto, lascia intendere al Tg2 ( tinyurl.com/k62d3f4 ) suor Maria Cristina Quartu, per farsi meglio conoscere, e dunque accendere non solo la generosità dei benefattori ma, in prospettiva, qualche nuova vocazione che ne faccia sperare la sopravvivenza.
Le clarisse si sarebbero accontentate dell'attenzione della loro città, ed ecco invece che piovono visite digitali a migliaia e servizi sui media nazionali, oltre che regionali. Il web ne premia la credibilità, anche per il valore aggiunto delle foto, splendide, di Gabriele Calvisi. Ritratti perlopiù di spalle e di profilo, come si conviene a questo soggetto. Dettagli. Qualche primo piano delle monache più anziane. Nessun voyeurismo. È davvero, semplicemente, il racconto per immagini della loro vita monastica.
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