Il digitale tra la vita e la morte in un racconto pieno di humour
venerdì 24 agosto 2018
Ho imparato ad apprezzare la firma di Marco Pappalardo tra quelle del blog "Vino Nuovo", ma l'ho ritrovato anche qui su "Avvenire", al quale collabora da anni anche con qualche "Dulcis in fundo". Appartiene alla nobile stirpe degli insegnanti-scrittori-saggisti-giornalisti, che sta facendo tanto bene sia agli studenti sia ai lettori, e all'interno della quale il ramo dei cristianamente ispirati è particolarmente frondoso. Il suo profilo Facebook ci saluta con un: «State sereni!» scevro di qualsiasi ambiguità. Ne parlo perché in questo agosto ha vinto un premio letterario ( tinyurl.com/y95lclfo ) che ha molto a che fare con la Rete: lo ha bandito la città di Leonforte (Enna) in ambito di micronarrativa, chiedendo ai partecipanti di scrivere dieci micro capitoli da 140 caratteri (un tweet) o un unico capitolo da 1.400 caratteri (un post medio, direi) a partire da uno fra tre incipit predisposti dagli organizzatori. Del testo che è valso a Pappalardo la vittoria la motivazione del premio sottolinea la «brevità densa di sfumature e suggestioni», la «semplicità», «l'ironia che si staglia al di sopra della paura». Qui non vorrei dirne altro, per non togliere il sapore a chi andrà a leggerlo. Per accrescere l'appetito servirà tuttavia sapere che l'azione si svolge «tra la vita e la morte». Che il racconto ha un gradevole retrogusto, tra la Szymborska e Pirandello (questo non stupisce, viste le origini dell'autore). Che contiene più di un pizzico di trascendenza, perché ritrae il protagonista che, in quel momento decisivo, ha il tempo per valutare il da farsi e contempla anche l'eventualità di una preghiera, ma si limita a una domanda di per sé drammatica: «Perché nessuno ti insegna a morire?». E infine, che induce con humour a una riflessione sul digitale come solo chi frequenta spesso l'ambiente, pur senza esserne nativo, potrebbe fare.
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