Il clima minaccia il made in Italy
sabato 24 novembre 2007
È il clima, questa volta, a minacciare i più bei nomi del Made in Italy agroalimentare.
Proprio così, dopo i pirati dedicati alla contraffazione di etichette e prodotti, dopo la concorrenza più o meno leale, sembra che anche la natura si sia messa contro di noi. Una situazione contingente forse, ma che per alcuni è il segnale di cosa potrebbe accadere più a lungo termine. Si tratta di previsioni allarmanti, che dovranno essere verificate, ma che devono far pensare. A lanciare l'allarme è stata la Coldiretti che ha messo insieme due diversi ordini di dati. Da una parte, le stime di produzione 2007 parlano di riduzioni record per l'olio (-17%), il vino (-12%), la frutta e gli
agrumi (-5,4%). Tutto a causa del clima pazzo di questi ultimi mesi. Dall'altra, l'organizzazione agricola ha ricordato le previsioni catastrofiche di uno studio condotto dall'Onu che prevede un drastico crollo della produzione agricola nell'Europa meridionale nei prossimi decenni sempre a causa dei cambiamenti climatici.
Crollo che, evidentemente, coinvolgerà proprio le produzioni mediterranee e quindi anche quelle italiane. L'aumento delle temperature, potrebbe infatti provocare anche la migrazione dei prodotti tipici verso nord con un processo che " ha sottolineato la Coldiretti " in realtà in Italia si sta già verificando con un significativo spostamento delle zone di coltivazione tradizionale di alcune colture. L'olivo coltivato sempre più a Nord , le arachidi e il grano duro prodotti in Pianura Padana, non sono che tre esempi eclatanti. Ma recentemente è stato previsto che anche un vino d'eccellenza come il Brunello di Montalcino " proprio uno dei simboli dell'agroalimentare nostrano " sia addirittura minacciato di estinzione per effetto del mutamento delle condizioni climatiche di produzione.
La morale di tutto ciò? I produttori dovranno fare i conti non solo con la concorrenza leale e con quella sleale, ma anche con un vero e proprio cambiamento della struttura dell'agricoltura italiana. Si tratterà di "interpretare" il cambiamento e i suoi effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio. Compiti nuovi, dunque, che tuttavia vanno affrontati con decisione. Magari anche con il buon augurio di altre previsioni come quelle fatte dal ministro dell'Agricoltura, Paolo De Castro, che ha parlato di un aumento al 2015 fino al 25% dell'intero export nazionale per le vendite all'estero dell'agroalimentare di casa nostra.
Un sogno? Probabilmente no. La crescita dell'export, d'altra parte, è una strada obbligata perché il nostro mercato interno non ha le potenzialità di quelli esteri.
Basta pensare che l'acquisto dei prodotti alimentari italiani della media dell'Unione, esclusa l'Italia, raggiunge i 40 euro pro capite, mentre nei Paesi entrati da poco in Europa è di 15-20 euro, negli Stati Uniti è di 15 euro e in Giappone di 3. «Lo spazio di crescita è enorme», ha sottolineato De Castro. Ed è vero, ma occorre mettere in gioco tutte le risorse e le capacità a disposizione. Clima permettendo.
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