I commenti sulle statue coperte un segnale di secolarizzazione
mercoledì 27 gennaio 2016
IIl tema "Chiesa, cattolici e biopolitica" ha completato la sua scalata alla vetta della classifica che stilo quotidianamente tra le notizie religiose in Rete: il 35% dei post degli ultimi giorni commenta, dai punti di vista dei credenti, il ddl sulle unioni civili e la stepchild adoption e il relativo Family Day, organizzato per il 30 gennaio prossimo.Ma questo interesse non oscura quello per l'altro argomento che, Papa a parte, egemonizza l'informazione religiosa digitale (e non), quello della "religione che divide", della religione cioè che viene utilizzata come carburante di quelle contrapposte identificazioni politiche, sociali e culturali che arrivano fino all'esercizio della violenza e alla pratica della guerra. Ma oggi lo faccio con più leggerezza, perché dentro quel 18% di post che vi ho catalogato non c'erano solo terroristi e attentati, e neppure presepi o altri simboli di identità religiose. C'erano anche delle innocue statue, quelle dei Musei capitolini, fatte ricoprire (così scrivono e fanno vedere tutte le fonti, e così dev'essere stato) da "pannelli bianchi" perché la nudità che esse riproducevano avrebbe potuto «urtare la sensibilità del presidente iraniano Rohani» (che doveva passarci davanti per partecipare alla conferenza stampa con il premier Renzi).Il tema è religioso perché è di tipo religioso la sensibilità che si è voluto rispettare. E infatti, a quanto ho potuto vedere su Facebook, sono proprio gli osservatori più attenti alle questioni religiose quelli che hanno preso la parola, per dire il grado di secolarizzazione, e non di rispetto religioso, che tale scelta ha esibito. I commenti più rappresentati vanno da «Cosa non si fa per business» (Battaglia) a «L'Europa si vergogna delle sue radici» (Ondarza); da «Fosse andato alla Sistina, che facevano?» (Cristiano) fino a «Renzi va a Riyad e parliamo dei Rolex. Rohani viene a Roma e parliamo dei nudi...» (Bernardelli), a ben segnalare che queste vicende hanno l'effetto collaterale di escludere dal dibattito pubblico i temi più seri, quelli della geopolitica mediorientale.
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