I ventitrè giorni della città di Alba di Beppe Fenoglio, per la scarna letteratura calcistica di questo campionato, dal finale già scritto (scudetto all’Inter per manifesta superiorità), diventano I 50 giorni a Trigoria di Daniele De Rossi. La rivincita della normalità, contro le leggende paranormali degli specialoni: vedi l’esonerato Josè Mourinho, ex Mago di Setùbal e dell’Olimpico giallorosso. La coerenza che è dote rara in circolazione, tra gli uomini di calcio diventa una chimera. E la chimera è proprio lui, Daniele De Rossi, classe 1983, la cui coerenza si fonda su tre elementi cardine che da sempre l’accompagnano nel cammino: passione, dedizione e tradizione. La passione è quella del talento nato e cresciuto lì, nel vivaio romanista. Uomo verticale, da una vita una maglia. Sir Alex Ferguson lo avrebbe voluto nel suo Manchester United grandi firme, ma Daniele era predestinato a diventare il giovane campione del mondo giallorosso del 2006, la bandiera della Roma
e infine il Capitano (ex Capitan Futuro), ereditando la fascia dal suo fratello maggiore di campo, Francesco Totti. La dedizione è quella che lo ha reso consapevole dei suoi grandi mezzi, ma mai sbandierati, assumendosi le responsabilità del leader silenzioso. E poi c’è la tradizione, che è quella di famiglia. Tutto ciò che Daniele sa sul calcio lo ha appreso fin dai primi passi seguendo la saggia guida del padre, Alberto De Rossi. Storico educatore, ancor prima che allenatore, De Rossi senior ha cresciuto intere generazioni di calciatori professionisti. Ex mister della Primavera giallorossa e oggi responsabile sviluppo e formazione allenatori squadre nazionali, ha sempre mantenuto fede ad un unico coerentissimo imperativo categorico: «Mi sono sempre messo da parte e ho svolto il mio ruolo che è quello di formare i giovani. Trigoria, è la mia seconda casa». Suo figlio Daniele è lo specchio di questo credo di famiglia e quando gli chiedono che ne pensa papà Alberto dei suoi successi da allenatore, risponde con un sorriso bello e pulito a incorniciare quella barba francescana: «L’ho visto due volte da quando alleno la Roma, scappa quando passa vicino al campo dove ci alleniamo... Da lui ho ereditato la passione, le idee calcistiche e sapermi relazionare con la gente. È schivo, ma non veniva allo stadio da quando ho smesso, ora ha ricominciato ad esserci. Si è goduto in silenzio questi 50 giorni». In 50 giorni a Trigoria, De Rossi jr ha messo insieme 6 partite vinte su sette e in 10 gare alla guida dei giallorossi la squadra ha realizzato 26 reti. Quattro la Roma ne ha appena rifilati in Europa League al Brighton di Roberto De Zerbi. Ora la domanda è: se per un guru della panchina come Pep Guardiola, De Zerbi è «il miglior allenatore emergente d’Europa» e il suo «Brighton una squadra modello», come dobbiamo giudicare questo nostro mister coerenza Daniele De Rossi? E la sua Roma che in 50 giorni ha compiuto una piccola rivoluzione culturale? La risposta ai “poster” e poi magari agli specialoni.
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