Chiesa e violenza domestica: la casa rifugio apre un sito web
mercoledì 22 novembre 2023
Giulia Cecchettin «ha un assassino in carcere, ma mille altri a piede libero», che «non rompono con un certo modo di parlare, di consumare, di commerciare, di legiferare…», afferma sul sito di “Famiglia cristiana” Arianna Prevedello (bit.ly/3R95Bos) riferendo di un incontro sull’affettività che ha tenuto in una parrocchia della diocesi di Padova «nella settimana di attesa orante per le sorti di Giulia e Filippo». Per sensibilizzare sul fenomeno della violenza domestica, di cui tanti femminicidi sono l’estremo epilogo, la Chiesa «potrebbe fare tantissimo», mi ha scritto alcuni giorni fa – in vista del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – Elisa Bertoli, giornalista e digital strategist. E a riprova mi ha segnalato un progetto digitale che sta curando per la “Associazione la Nuova Gerusalemme Onlus”, una casa rifugio in cui le sorelle francescane della Nuova Gerusalemme (Ordine Francescano Secolare) accolgono «donne (ed eventuali figli) che subiscono situazioni di violenza domestica» (bit.ly/3MTHwj1). Il progetto si chiama “Non ti muovere” e per il momento consta di un sito (bit.ly/3uo79Ca), con i relativi account Facebook e Instagram, e del libro di Sofia Fly “Le mie nuove ali”, mentre si sta preparando, a firma della stessa Bertoli, un podcast che racconterà «la realtà vissuta ancora oggi da tantissime donne prigioniere della violenza maschile». In formato ebook, il libro si può scaricare gratuitamente. Sofia lo ha scritto nella casa rifugio, la «casetta nel bosco» che le ha «donato la speranza di poter credere che qualcosa di nuovo, di positivo, si sarebbe potuto palesare». Non è, spiega ancora Bertoli nell’Introduzione, «un racconto che mette in fila gli eventi in ordine cronologico»; piuttosto è «una finestra sull’interiorità di una donna che si è trovata suo malgrado a subire una vita molto diversa da quella che aveva sempre sognato». Una finestra appena socchiusa, poche pagine, ma sufficienti per «conoscere e capire, prima di tutto», la sofferenza patita dall’autrice. Basterebbe leggere questa sola frase, rivolta ai figli: «Scusatemi ancora. Lo ripeto sempre a me stessa. Perdonate questa mamma che non ha saputo porre fine prima a una storia di felicità illusoria», perché la famiglia «era tutto ciò in cui credeva». © riproduzione riservata
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