Chi elabora le reliquie digitali ci illude di portarci in paradiso
mercoledì 26 febbraio 2020
C'è un post, tra le decine che ho letto negli ultimi due giorni, che non interseca il tema Fede-Chiesa-Coronavirus pur provenendo dal Lodigiano. Lo ha pubblicato sul suo Qiqajon blog Marco Zanoncelli ( bit.ly/37UqWZ7 ), riprendendolo dal numero di febbraio di Lodi Vecchio Mese; vi si narra di Jang, mamma coreana che ha perso nel 2016 una figlia di sette anni e che ha potuto reincontrarla (vederla, udirla parlare, abbracciarla) virtualmente grazie a un simulatore digitale con casco e guanti. Su questo giornale ne ha scritto il 13 febbraio con la consueta sensibilità Marina Corradi ( tinyurl.com/slwqn66'' target='_blank'>tinyurl.com/slwqn66' target='_blank'>https://tinyurl.com/slwqn66 ). Zanoncelli mette a tema le commosse parole di Jang: «Ho vissuto un momento felice, il sogno che ho sempre voluto vivere. Era come fosse il paradiso», cogliendo che il "paradiso" è esattamente il luogo nel quale «potremo (o forse ora occorre dire "possiamo") incontrare coloro che sono morti», in cui ci è promesso di riallacciare i legami interrotti. Già qualche mese fa accennavo, in questa rubrica, al volume di uno psicologo, Antonio Loperfido, che arriva proprio domani nelle librerie per i tipi delle EDB. Si intitola Ti ricorderò per sempre e racconta in chiave critica come l'informatica, elaborando delle reliquie digitali (registrazioni audio e video, immagini, testi) consente già di sperimentare una qualche "sopravvivenza" – anche solo attraverso una chat – dei propri cari defunti, ma ritardando in tal modo l'elaborazione del lutto. Zanotelli aggiunge che questa opportunità, all'apparenza così umana, offerta dalla tecnologia appartiene alla «volontà di realizzare l'umano andando "oltre" l'uomo, cancellando quei limiti che sono la sua stessa possibilità di esistenza». Ben oltre le sue implicazioni scientifiche, questo esperimento pretende allora di rappresentare una forma di "salvezza" di fronte alla finitezza della vita. E basterebbero queste due parole così cristiane, "paradiso" e "salvezza", a evidenziare quanto tali "diavolerie" digitali interpellino le persone di fede.
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