C'è chi vuol sporcare la filiera agricola
domenica 24 maggio 2020
Licenziato, picchiato e poi gettato in un canale. È accaduto qualche giorno fa ad un bracciante agricolo di origine indiana, che lavorava in un'azienda agricola di Terracina. La causa di tanta ingiustizia e brutalità: l'aver chiesto una mascherina per lavorare in sicurezza. Padre e figlio titolari dell'impresa, specializzata nella produzione di ortaggi, sono stati arrestati. Bruttissima storia, ma non certo caso isolato di violenza in un mondo, quello dello sfruttamento del lavoro nei campi, che vede agricoltori onesti e Stato combattere contro una criminalità diffusa, subdola, pericolosa che fa dell'emergenza e della necessità di lavorare gli strumenti per accrescere il malaffare a scapito di tutti. Quanto accaduto, cozza sonoramente e stride con l'immagine (e la realtà diffusa e concreta) di un comparto agroalimentare che attraverso un lungo percorso di crescita ha fatto della qualità del prodotto, della tutela del lavoro e dell'ambiente dei punti imprescindibili del suo sviluppo. Assurdità in pieni anni Duemila, quella di un lavoratore gettato in un canale con le ossa rotte solo per aver chiesto di lavorare più dignitosamente, che la dice lunga sulla necessità di quanto appena deciso dal governo: quelle norme anti-caporalato che per troppo tempo sono rimaste nei cassetti delle istituzioni. E che adesso, tra l'altro, devono essere applicate con il concorso di tutti.
Accanto al sapore amaro dell'episodio, rimane comunque l'importanza dell'agroalimentare sia dal punto di vista economico che da quello culturale. Un comparto diffuso che, è bene ricordarlo sempre, significa secondo alcuni calcoli effettuati dai coltivatori diretti un giro d'affari che dai campi agli scaffali e alla ristorazione, raggiunge in Italia una cifra di 538 miliardi di euro pari al 25% del Pil, che offre lavoro a 3,8 milioni di persone e che in termini di commercio con l'estero significa esportazioni per oltre 44 miliardi di euro correnti. Un tesoro vero, frutto di molte fatiche e di molta sapienza, di una cultura pressoché unica. Qualcosa di inimitabile che pure molti tentano di imitare (tanto che il giro d'affari dei falsi prodotti agroalimentari italiani è a sua volta miliardario) e molti altri vorrebbero conquistare. Qualcosa di prezioso, tanto che proprio la criminalità organizzata da tempo (da sempre), tenta di mettervi radici. Agroalimentare, dunque, come espressione della migliore italianità. Che non può certo essere sporcata da violenza e criminalità.
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