Bisogna saper vincere (e pure arrivare secondi)
mercoledì 14 luglio 2021
Da quanto tempo non vedevamo gente così felice? Domenica 11 luglio, data ricorrente nella storia sportiva italiana (fu il giorno della vittoria nel Mondiale di Spagna del 1982) il nostro Paese ha vissuto dieci ore di passione. Nel pomeriggio con Matteo Berrettini, primo italiano in finale al torneo di tennis di Wimbledon, poi con gli azzurri a Wembley. Una concentrazione di emozioni in così pochi chilometri londinesi, è stata una specie di evento astronomico, come l'allineamento dei pianeti e, al di là di vittorie e sconfitte, ci ha richiamati, ancora una volta alla considerazione di quanto lo sport sia un bene essenziale. Lo sport praticato, quello che, indipendentemente dalla nostra età e del nostro talento, ci permette di prenderci cura della nostra salute e di metterci di fronte a piccole sfide quotidiane da superare e lo sport tifato, amato, fonte di ispirazione che ci fa battere il cuore davanti a sfide di cui percepiamo la portata e che in qualche modo sentiamo nostre, come parare un rigore decisivo di una finale davanti a milioni di persone che ti guardano.
Domenica 11 luglio è il giorno che stavamo aspettando non solo da quindici anni, ovvero dall'ultimo successo della nazionale di calcio, ma soprattutto da diciotto terribili mesi pieni di dolore, di sconforto, di lacerazioni. Il primo giorno in cui il nostro Paese si è dimostrato felice e completamente unito come, davvero, non succedeva da tempo. Felice e unito da un ragazzo dai modi straordinariamente gentili come Matteo Berrettini, interprete di uno sport (apparentemente) individuale e poi da una squadra di calcio senza superstar. In realtà le meravigliose immagini di mamma, papà e fratello e allenatore di Matteo costantemente cercati delle telecamere, non sono forse rappresentazioni di una squadra?
Il team Berrettini e la Nazionale di calcio hanno scritto la storia sportiva del Paese proprio grazie a quella dimostrazione di unità e desiderio di raggiungere, insieme, un obiettivo. Abbiamo allora assistito a due vittorie perché quella contro i tuoi avversari sul campo, non è l'unica delle vittorie possibili e, verrebbe da dire, neanche la più importante. Vincere contro i propri limiti, resta la vittoria vera che, talvolta e come effetto collaterale, si manifesta nella vittoria contro qualcun altro. Certo, viene da pensare: sarebbe stato tutto uguale se il rigore di Marcus Rashford, colpendo il palo, fosse entrato? Beh, la differenza sarebbe stata, forse, di dieci centimetri, ma il cammino, lo sforzo, l'impegno sarebbero stati del tutto uguali, senza dubbio. Tuttavia le nostre piazze, domenica sera, sarebbero state desolatamente vuote. L'insegnamento dell'11 luglio sia allora questo, grazie a due vittorie premiate con due medaglie di colore diverso: bisogna sapere vincere e saper arrivare secondi conservando la ricchezza e la bellezza del cammino e il valore dell'essere una squadra.
Un promemoria? L'immagine di Daniele De Rossi, grande campione e oggi dirigente, che porta sulle sue spalle Leonardo Spinazzola verso la sua squadra che sta festeggiando. Sullo sfondo, sul prato di Wembley, le stampelle di Leonardo, che in questa impresa ha lasciato un tendine di Achille. Non lasciare nessuno indietro, ecco cosa significa essere una squadra.
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