Autonomia differenziata C’è un “buco” nel sistema
domenica 30 luglio 2023
Quando si afferma che la revisione costituzionale del 2001, quella che ha rivoluzionato il sistema delle autonomie, è stata un’operazione incompiuta, non si esprime un giudizio generico, ma una constatazione che trova sorprendentemente conferma nella stessa legge di riforma, la n.3 di quell’anno. Se tutti infatti citano – a proposito e a sproposito – l’art.2, quello in cui si prevede la possibilità di «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» delle Regioni (la cosiddetta autonomia differenziata), quasi nessuno ricorda l’articolo 11 che inizia con queste parole: «Sino alla revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione…». Alla lettera. Il titolo I della parte seconda della Carta è quello che riguarda il Parlamento. Quindi è come se la legge costituzionale del 2001 desse per acquisito che alla riforma del titolo V, che si occupa di Regioni, Province e Comuni, avrebbe fatto seguito un ulteriore intervento sulla Carta per coordinare l’assetto del Parlamento con il nuovo assetto delle autonomie. Del resto, come insegna tra l’altro l’esperienza degli Stati federali, con autonomie territoriali molto spinte è assolutamente necessario che esista un luogo istituzionale di confronto e cooperazione al massimo livello, altrimenti il sistema non funziona, s’inceppa o al contrario sfugge di mano. Un organismo analogo al Bundesrat tedesco, tanto per restare in Europa. In Italia un Senato delle Regioni compariva nella riforma Renzi, ma sappiamo com’è andata a finire tutta quella vicenda. L’esigenza di una Camera delle autonomie o comunque la si voglia chiamare ha attraversato per decenni tutto il dibattito sulle riforme istituzionali. Se ne discusse anche alla Costituente e di quell’esperienza è rimasta una traccia nell’art. 57 della Carta laddove si afferma che il Senato «è eletto a base regionale». Nella pratica questo principio ha avuto ripercussioni, peraltro non particolarmente incisive, soltanto sul disegno delle circoscrizioni elettorali e sul sistema di voto. Il problema si è posto con forza inedita quando nel 2001 la riforma ha attribuito alle Regioni nuove e più rilevanti competenze anche di natura legislativa. Il già citato art.11 della legge costituzionale stabilisce che i regolamenti di Camera e Senato «possono prevedere» la partecipazione di rappresentanti delle Regioni e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali. Una sorta di norma transitoria in attesa, come abbiamo visto, della riforma del Parlamento. Riforma che però è rimasta soltanto nell’incipit dell’art. 11. Per la verità non c’è stata neanche l’integrazione della Commissione con i rappresentanti regionali, che pure sarebbe stata un surrogato provvisorio del tutto inadeguato. Non è un caso che la Conferenza Stato-Regioni abbia visto crescere vistosamente il suo ruolo e che dopo la riforma del 2001 la Corte costituzionale sia stata invasa dal contenzioso tra lo Stato e le Regioni. C’è un “buco” nel sistema e siccome negli ordinamenti il vuoto non esiste, viene riempito in qualche modo a partire da quello che già è in campo. Ma l’impatto dell’autonomia differenziata rischia di far deflagrare un sistema già sottoposto a elevati livelli di stress istituzionale. Meglio valutare bene tutte le implicazioni prima di imboccare frettolosamente una strada da cui sarà molto difficile, se non impossibile, tornare indietro. © riproduzione riservata
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