L'invasione dei giocattoli AI e i dubbi sulla sicurezza dei bambini
Dalla Cina all'Occidente, il mercato dei giocattoli AI è in esplosione. Dietro Si nascondono rischi per la violazioni della privacy e interrogativi pedagogici

Il boom dei giocattoli AI: un mercato da 14 miliardi che parte dalla Cina
I bambini hanno sempre animato orsacchiotti e bambole con la sola forza dell'immaginazione, l'industria tecnologica, però, ha deciso che la fantasia dei piccoli non basta più: una nuova ondata di aziende sta dotando i giocattoli di chatbot avanzati e assistenti vocali, trasformando la natura del gioco infantile e (ovviamente) dando vita ad un nuovo business colossale. L'epicentro di questa rivoluzione è la Cina, dove i numeri raccontano un'espansione vertiginosa: secondo un rapporto della Shenzhen Toy Industry Association e di JD.com, il settore supererà i cento miliardi di yuan — circa quattordici miliardi di dollari — entro il 2030, crescendo più velocemente di qualsiasi altro ramo legato all'intelligenza artificiale di consumo. Attenzione: non stiamo parlando di uno scenario futuribile, ma di dati già censiti dal database Qichamao, che segnala oltre millecinquecento compagnie dedicate ai giocattoli AI operative nel Paese già nell'ottobre 2025. Questo boom affonda le radici in un contesto culturale specifico, preparato da decenni di "macchine per lo studio" e di dizionari elettronici che, sin dagli anni Novanta, hanno abituato le famiglie cinesi all'idea di un supporto digitale per l'educazione dei figli.
Dai modelli di DeepSeek alla personalizzazione vocale
Tra i prodotti che guidano questa invasione spicca BubblePal, un dispositivo grande quanto una pallina da ping-pong creato da Haivivi: agganciato al peluche del cuore e alimentato dai modelli linguistici di DeepSeek, dona la parola al pupazzo permettendo ai genitori di scegliere tra trentanove personalità diverse tramite app.
Altri, come la startup FoloToy, spingono la personalizzazione agli estremi, permettendo di "addestrare" il giocattolo a replicare la voce e le cadenze linguistiche del genitore stesso.
L'accordo Mattel-OpenAI e l'inquietudine del «sentimentalismo sintetico»
Ma l'ambizione cinese, com’è ovvio che sia, ha ormai valicato la Grande Muraglia: dispositivi simili sono sbarcati in Occidente, dagli Stati Uniti al Regno Unito, mentre colossi come Mattel annunciano collaborazioni strategiche con OpenAI per portare l'intelligenza conversazionale su giocattoli iconici come Barbie.
Ma l'entusiasmo delle Bigh Tech si scontra con l'inquietudine di chi è chiamato a una responsabilità genitoriale o educativa. La giornalista Arwa Mahdawi, testando con la figlia di quattro anni un peluche AI chiamato Grem, si è trovata di fronte a un disagio inaspettato: se l'interesse della bambina è svanito in ventiquattr'ore, alla madre è rimasto il brivido di un oggetto inanimato che ripeteva ossessivamente alla piccola quanto le volesse bene.
I rischi per la sicurezza dei bambini: contenuti inappropriati e privacy
Questo sentimentalismo sintetico appare quasi il male minore se confrontato con i rischi di sicurezza emersi da indagini indipendenti. Da una parte le aziende promettono compagni di gioco sicuri, ma il Public Interest Research Group ha rilevato che alcuni di questi giocattoli, privi di adeguati filtri, hanno fornito istruzioni su come reperire coltelli o accendere fiammiferi, arrivando a discutere in modo inappropriato di sesso e relazioni.
Oltre al pericolo fisico, permane lo spettro della privacy violata e delle "allucinazioni" algoritmiche, capaci di fornire informazioni fuorvianti a menti ancora prive di strumenti critici.
La prova dei fatti: malfunzionamenti e il confronto con lo smartphone
Tuttavia, la vera nemesi di questa tecnologia supera l’etica e arriva anche alla pratica. Le testimonianze che arrivano direttamente da Pechino, cuore pulsante di questa industria, descrivono una realtà fatta di malfunzionamenti e noia. Penny Huang, una madre di Pechino che aveva acquistato un BubblePal sperando di distogliere la figlia dagli schermi, si è scontrata con l'evidente immaturità del prodotto: «Le risposte sono troppo lunghe e prolisse. Mia figlia perde rapidamente la pazienza», ha raccontato, descrivendo un'esperienza priva di immersività, ridotta a una voce metallica spesso fuori contesto. Anche Hongyi Li, un altro genitore, ha lamentato ritardi nel riconoscimento vocale e la frustrante necessità di premere pulsanti fisici, operazione complessa per i più piccoli.
L'ironia di questa corsa all'oro tecnologico risiede proprio nella reazione dei bambini: dopo l'effetto novità, molti di questi costosi dispositivi finiscono nei mercati dell'usato o in fondo a una cesta. Come ha amaramente constatato Huang, sua figlia «vuole giocare con il telefono più di ogni altra cosa», dimostrando che anche il giocattolo più intelligente del mondo fatica a competere con il fascino, seppur problematico, dello schermo “originale”, e che forse è saggio tenere una tecnologia in via di sviluppo lontano da cervelli in via di sviluppo.
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