Lasciamoci educare dalla Storia

Con i suoi drammatici accadimenti, la Storia ci pone di fronte ai nostri limiti e ci ricorda che c’è qualcosa di più grande di noi, che non dovremmo mai smettere di indagare. Protagonisti non sono i potenti, bensì gli invisibili, i piccoli, i miti, i pazienti
November 4, 2025
Lasciamoci educare dalla Storia
Felicità, prosperità, pace. Da quando l’Umanità esiste, aspira a conquistarle. È incessante la ricerca di soluzioni teorico-pratiche, modelli di sviluppo, dottrine politiche, visioni filosofiche e paradigmi sociologici capaci di garantirle stabilmente. Talvolta questa ricerca diventa utopia, altre volte retorica. Nonostante le intenzioni sincere. Sebbene si progredisca nel benessere e nelle acquisizioni della conoscenza, mai si riesce a raggiungere un equilibrio pieno, saldo e duraturo nella realizzazione di un bene comune diffuso e universale. Al progresso materiale spesso non corrisponde il progresso spirituale. E lo stesso progresso materiale è – troppe volte – conseguito a vantaggio di pochi. E a danno di molti. Crescono le disuguaglianze socioeconomiche. Si susseguono fenomeni ambientali estremi. Si acuiscono i conflitti demografici e geostrategici.
È su questo sfondo che Papa Leone XIV, nella Lettera Apostolica “Disegnare nuove mappe di speranza”, ci richiama a un compito basilare: rieducare l’Uomo in un’epoca di transizioni multiple. Per liberarlo dal nichilismo tecno-finanziario dei tempi moderni. Avremo modo di parlarne. Iniziamo da un aspetto preliminare. Tra tutte le forme di educazione, ce n’è una che le precede, le contiene e le orienta: l’educazione che ci viene dalla Storia. «Guidami, luce gentile, attraverso il buio che mi circonda, sii Tu a condurmi!», amava ripetere San John Henry Newman, proclamato proprio l’altro ieri Dottore della Chiesa. La “luce gentile” della Storia che illumina le tenebre della cronaca. Oggi soffermiamoci a riflettere su di essa. È la prima delle educazioni. La più dimenticata. La più necessaria.
Cosa può e vuole insegnarci la Storia? Essa, come scriveva il Concilio Vaticano II, è sempre “segno” dei tempi. Perennemente “istruisce”, “corregge” e “indirizza”, custodendo la “verità naturale” posta a presidio del patto fondativo tra Uomo, Creato e (per chi crede) Creatore. Con i suoi drammatici e inattesi accadimenti, la Storia ci pone di fronte ai nostri limiti e ci ricorda che l’Umano non è – e mai potrà essere – “Signore della Storia da se stesso”. C’è qualcosa di “più grande di noi” che ci precede e ci sovrasta. E che non dovremmo mai smettere di indagare. L’imprevedibilità della Storia ci educa alla “vera umiltà”. Ci ammonisce di fronte alla “superbia” che pretende di poter tutto prevedere e tutto governare, fino a sfiorare l’idolatria. La Storia ci ricorda che per vincere la “natura” abbiamo bisogno di una forza – e di una grazia – “oltre la natura”. Ci ricorda che siamo custodi e non padroni, creature e non creatori: finiti nell’Infinito.
Ma siamo ancora capaci di leggere i segni dei tempi e di lasciarci educare da essi? Nietzsche, nelle Considerazioni inattuali, vide “l’uomo storico” malato di memoria e prigioniero di un “eterno presente senza scopo”. Gli esistenzialisti lessero la Storia come teatro della responsabilità: Kierkegaard ci insegnò che “la vita si vive in avanti ma si comprende all’indietro”; Heidegger riconobbe nella Storia l’apertura dell’Essere nel tempo; Sartre vide nella libertà una responsabilità che costruisce il destino collettivo. Hegel la interpretò come Spirito che si fa consapevole; Croce come “vicenda contemporanea”; Benjamin come un angelo sospinto dal vento del progresso che guarda rovine. Agostino, nella Città di Dio, ci mostrò la Storia come cammino della grazia dentro il caos. “Una trama di misericordie intrecciate a errori, che la Provvidenza non smette mai di tessere”, secondo il neo Dottore della Chiesa, Newman.
Tutti, da prospettive diverse, ci dicono la stessa cosa: la Storia è riflesso della nostra capacità di amare o tradire. È maestra solo per chi ha orecchi per intendere. La sua voce è sottile ma perenne. Non tace mai. Continua a parlarci come un maestro paziente che ripete la lezione a discepoli distratti. L’Uomo moderno, invece, non ascolta più. Vive sopraffatto dal rumore di fondo della contemporaneità. Rumore delle notizie, che si rincorrono come onde e si infrangono nel nulla. Rumore dei mercati, che battono il tempo con l’aritmia del profitto. Rumore delle guerre, che si spostano di continente ma non di linguaggio. Rumore delle macchine intelligenti, che parlano senza sapere e insegnano senza comprendere. Rumore della politica urlata, della cultura consumata in superficie, della spiritualità smarrita nel secolarismo relativo. E, soprattutto, rumore dell’ego, che pretende di essere il centro dell’universo fino a confondere se stesso con Dio. La Bibbia narra che i sigilli della Storia appartengono all’Agnello. Solo Lui può aprirli. Ogni volta che l’Uomo tenta di farlo da sé, accade il disastro. L’immagine, letta laicamente, è di straordinaria attualità. Ogni volta che l’Uomo forza i limiti del mistero (personale o comunitario), la Storia si vendica. Ogni volta che scambia il progresso per salvezza, apre sigilli che poi non sa richiudere. Abbiamo voluto dominare la creazione e ci siamo trovati nudi davanti alla nostra fragilità. L’assolutizzazione della tecnologia e della finanza capitalistica lo dimostrano. Stordito da questa sinfonia dissonante, l’Uomo ha perso la capacità più antica e sacra: l’ascolto. Ma senza ascolto non c’è discernimento. E senza discernimento non c’è vera educazione. Perché la Storia – quella vera, che sopravvive ai libri – è dialogo fra l’eterno e il tempo.
In questa prospettiva ci soccorre la Teologia fondamentale, scienza oggi poco frequentata, che ci ricorda come la Storia sia – anche e soprattutto – “strumento dell’infinita misericordia di Dio, che sempre e instancabilmente lavora per il sommo bene di ogni persona (ovvero per la sua salvezza eterna) e che ogni cosa orienta a questo scopo”. Anche il dolore più grande diventa, così, strumento di redenzione. La progressione delle piaghe d’Egitto lo insegna. Eppure, non ne bastarono dieci per impedire al Faraone di essere inghiottito dalla propria hybris. Ogni calamità, oltre la cronaca, assume un senso e un valore diversi: fenomeno mistagogico ed escatologico che ci educa al mistero della sofferenza e della verità di noi stessi. Come persone e come popoli. Riecheggiano le parole di Eliu a Giobbe, dopo lungo silenzio: “Chiediti cosa Dio vuole insegnarti con la Storia che stai vivendo”. Vogliamo davvero banalizzare e sprecare il significato della Storia e delle domande che incessantemente essa ci pone? Siamo pronti a chiederci: “Cosa vuole insegnarci la Storia, anche nelle tragedie che la segnano? Forse abbiamo smarrito la verità di noi stessi?”. Restando in una dimensione laica, possiamo dire con Cicerone: “La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità”. E subito Agostino d’Ippona ci invita a trascendere: “E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione”.
Probabilmente è questa la chiave. La Storia non si lascia possedere. Essa va assunta, non conquistata. Compresa, non violata. Partendo dall’ascolto e dal discernimento sapiente. Che devono diventare profezia vissuta.
Questa consapevolezza è fonte di speranza. Coincide con l’appello di Papa Leone: “Educare è un atto di speranza che genera speranza”. La Storia sempre educa. E sempre costruisce speranza: non sono i potenti i suoi protagonisti. Bensì gli invisibili, i piccoli, i miti, i pazienti. Coloro che nel nascondimento reggono il mondo senza clamore. Coloro che correggono gli errori dei “grandi” con la sofferenza, con l’offerta di sé, con la fedeltà alla verità, con la preghiera. Sono essi i profeti dell’invisibile. Sono loro – più dei governi, delle accademie e dei santuari della finanza e dell’industria – a tenere in equilibrio la Storia, a ripararla dai suoi difetti, a guarirla dai suoi mali mortali. Ogni vero Armonauta è chiamato a essere come loro. Per trasformare la Storia in vita. Affinché la vita – ogni vita – diventi Storia.

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