Così nel 1963 si restituì la liturgia al popolo (ma anche il popolo alla liturgia)
La Costituzione sulla sacra liturgia è il primo documento approvato dal Concilio Vaticano II, che terminò esattamente sessant'anni fa, e promulgato da Paolo VI. Il significato, gli obiettivi

Il Concilio Vaticano II, 21° Concilio ecumenico della Chiesa cattolica e tra i grandi eventi del XX secolo, prese il via l’11 ottobre 1962 e si chiuse l’8 dicembre 1965. Furono chiamati a partecipare i vescovi del mondo più i superiori maggiori degli ordini religiosi maschili: in tutto 2.908 “padri conciliari”, con diritto di voto. Circa 200 rinunciano subito per motivi di salute. I presenti alla cerimonia di apertura furono 2.540. La loro presenza nel corso dei quattro anni si mantenne sempre sopra le 2.100 unità. Ai lavori presero parte, ma senza diritto di voto, anche circa 460 periti, cioè teologi e canonisti che facevano da consulenti, osservatori di altre confessioni cristiane, uditori laici e delegazioni di governi e organizzazioni internazionali. Al termine del Concilio Vaticano II furono promulgati 16 documenti: quattro Costituzioni (sulla liturgia, la natura della Chiesa, la Rivelazione, il rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo), nove Decreti (su ecumenismo, Chiese cattoliche orientali, ruolo dei vescovi, vita religiosa, formazione sacerdotale, ministero e vita dei sacerdoti, apostolato dei laici, attività missionaria, mezzi di comunicazione sociale), tre Dichiarazioni (su libertà religiosa, relazioni con le altre religioni, educazione cristiana). Le congregazioni generali – le assemblee plenarie in aula, cioè la navata centrale della Basilica di San Pietro – furono 136. Si registrarono 2.212 interventi e 4.361 contributi scritti, 561 ore di discussione e 527 votazioni. In questo articolo si racconta il significato della Sacrosanctum Concilium, la Costituzione sulla sacra liturgia, il primo dei documenti usciti dall'assise.
«Il tema che è stato prima di tutto affrontato, e che in un certo senso nella Chiesa è preminente, tanto per sua natura, che per dignità – la sacra liturgia – è arrivato a felice conclusione». «Per questo motivo il Nostro animo esulta di sincera gioia. In questo fatto ravvisiamo infatti che è stato rispettato il giusto ordine dei valori e dei doveri: in questo modo abbiamo riconosciuto che il posto d’onore va riservato a Dio». Con queste parole, il 4 dicembre 1963, Paolo VI promulgava Sacrosanctum Concilium: la costituzione sulla sacra liturgia, primo fra i documenti usciti dall’assise del Vaticano II e quasi sintesi dell’intero corpus conciliare. Magna charta del rinnovamento liturgico, era stata preparata valorizzando l’impegno di un movimento che da oltre mezzo secolo (soprattutto in Belgio, Francia, Germania e Italia) aveva lavorato per legare vita cristiana e liturgia (si pensi, ad esempio, a figure come dom Lambert Beauduin, dom Bernard Botte, Odo Casel, Romano Guardini, alle riforme di Pio X e alla Mediator Dei di Pio XII).
Il duplice intento della costituzione conciliare fu, quindi, quello di restituire la liturgia al popolo e il popolo alla liturgia: obiettivo teso a favorire nei fedeli l’incontro con il Signore e con il mistero della Rivelazione. Come raggiungerlo? Facendo sì che i fedeli potessero seguire i riti, le preghiere, i simboli come attori e non come muti spettatori. Una questione che avrebbe richiesto tempo, trovando forma nei libri liturgici, promulgati dallo stesso papa Montini, e nell’aumentata consapevolezza del rapporto intrinseco tra fede e liturgia. Liturgia, dunque, considerata non come l’insieme tout court delle cerimonie sacre, bensì come l’epifania del Signore al suo popolo e con il suo popolo. Una costituzione, insomma, che, assolvendo il compito di promuovere e custodire la liturgia, ne ha ribadito la centralità, affidata al sentirsi con Cristo stesso e alla sua presenza orante con i fratelli. Aspetto reso più percepibile dal ministero ordinato dei presbiteri e dei vescovi e dall’assemblea, espressione della Chiesa, dove la categoria simbolica è stata recuperata come linguaggio della comunicazione salvifica. Così, dunque, recependo anche istanze ecclesiologiche, si è arrivati ad una riscoperta della stessa ministerialità dentro a un nuovo concetto di liturgia, dove l’elemento della “cerimonia” ha lasciato spazio alla realtà teologica come “mistero di Cristo celebrato”.
Tornando all’iter del testo, non va dimenticato che fu costruito su uno schema iniziale, elaborato dalla Pontificia commissione preparatoria della sacra liturgia, costituita da Giovanni XXIII il 15 giugno 1960, che aveva come segretario padre Annibale Bugnini. Denominato De Sacra Liturgia, nella prima sessione del Vaticano II, restò sotto l’esame dei Padri in 15 congregazioni generali dal 22 ottobre al 13 novembre 1962. Un dibattito che vide 662 interventi: 328 letti in aula, gli altri inviati all’apposita commissione per la revisione dello schema e l’elaborazione del nuovo testo, coinvolgendo tredici sottocommissioni, create appositamente. Un lavoro svolto in 56 sedute, dal quale uscì il testo – tra «sana tradizione e legittimo progresso» – da sottoporre alla seconda sessione conciliare, quando fu approvato quasi all’unanimità con 2.147 voti favorevoli (placet) e 4 contrari (non placet). Numeri eloquenti, a dimostrare la necessità di una riforma, pur laboriosa, e la risposta dei Padri e del Papa che, non senza resistenze, apriva il percorso di aggiornamento, offrendo un’ampia cornice di riferimento e annunciando alcune prescrizioni, entrate in vigore già il 25 gennaio 1964 con la Sacram Liturgiam di Paolo VI. Riguardo ai contenuti, Sacrosanctum Concilium mette a fuoco non pochi fondamenti dottrinali e orientamenti pastorali, pur tracciando linee generali. In primis, quelli sull’azione rituale, riletta alla luce del mistero pasquale e della Chiesa come assemblea. Poi quelli sull’accompagnamento dei fedeli nella partecipazione alle celebrazioni eucaristiche.
Nel testo, un prologo definisce la liturgia come la realtà dove «si attua l’opera della Redenzione». A seguire, sette paragrafi, sono dedicati via via ai significati e alle valenze della liturgia, all’incremento della vita liturgica nelle diocesi, alle norme derivanti dalla natura gerarchica e comunitaria della liturgia, a quelle dovute alla sua natura didattica e pastorale e alle norme stabilite per un adattamento alle tradizioni dei vari popoli. Seguono, poi, i paragrafi sul mistero dell’Eucaristia, i Sacramenti e i sacramentali, l’Ufficio divino, l’anno liturgico, la musica e l’arte sacra. Lungo il testo, troviamo anche raccomandazioni sull’omelia come parte dell’azione liturgica, concessioni alle lingue parlate nell’amministrazione dei sacramenti, istruzioni sul ripristino del catecumenato degli adulti, sul riordinamento dei riti e sugli adattamenti nella prassi pastorale, esortazioni per i momenti dell’anno liturgico e sull’attenzione alla bellezza nel culto.
Da ricordare, infine, che, grazie al contributo del Consilium ad exequendam Constitutionem de sacra liturgia, costituito nel febbraio 1963 e presieduto dal cardinale Giacomo Lercaro, Paolo VI poté offrire a tutta la Chiesa cattolica di rito latino una prima riforma della Messa già nel 1965: con la lingua parlata per le letture, i canti dell’assemblea per la preghiera universale, i dialoghi tra sacerdote e popolo, la celebrazione verso il popolo, l’altare tra il ministro e l’assemblea e quanto ormai ci pare patrimonio ordinario. Nella certezza – nonostante casi di stravolgimenti estranei al dettato della costituzione o nostalgie difficili da condividere – di essere testimoni di un processo irreversibile, cominciato proprio sessantadue anni fa.
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