Ho un cattivo rapporto con la burocrazia. L’idea di compilare un modulo mi mette in agitazione, il disbrigo di una pratica online è fonte di ripensamenti e preoccupazioni. Per mettermi alle strette, basta adombrare la minaccia di un formulario, ed ecco che rassegno le armi. Temo di essere tra i pochissimi che traggono conforto dallo spam: se proprio occorre affrontare una notifica, meglio constatare che sia falsa, così la cancelli e non ci pensi più. Non può andarmi sempre bene, purtroppo. Di norma le PEC non mentono e non mentiva neppure la raccomandata che avevo trovato ad aspettarmi una sera.
L’aveva ritirata uno dei miei figli, senza aprirla. Era una convocazione da parte della Polizia postale: presentarsi il giorno tale alla tal ora nella sede indicata e chiedere di un certo ispettore. Al di là di ogni altra informazione, a colpirmi era il linguaggio adoperato nella lettera, che si apriva con un roboante «la S.V.». RSVP per répondez, s’il vous plaît, N. H. per “nobiluomo” e S.V. per “signoria vostra”. Questi e pochi altri acronimi sono i fossili di un mondo passato, sul quale ancora si espandeva il sussiego un po’ ipocrita delle buone maniere. Tribunali e commissariati sono gli ultimi giacimenti di questa tradizione cerimoniosa, che ricorda il soffice ingresso di una trappola.
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