«Le è mai successo di dimenticare un libro?», mi chiese un giorno il signor Kenobi. Gli domandai a mia volta che cosa intendesse. Smarrirlo, forse? O acquistarne due copie identiche, incappando così nell’increscioso incidente del doppione? «No – dichiarò determinato –, dimenticarlo e basta. Leggerlo e non ricordarne più il contenuto. E magari continuare a provare interesse per l’argomento, per l’opera, per l’autore, e non rendersi conto di aver già fatto quella conoscenza che si pensa di aver tanto rimandato. Allora si prende il volume dallo scaffale, si inizia a sfogliarlo e, dopo poche pagine, ci si imbatte in una sottolineatura, poi in una nota, in una postilla di qualche riga. Quel libro l’avevamo letto e dimenticato, eppure ci appassiona veramente, ancora adesso.
Ci appassiona a tal punto che presto o tardi ritroviamo un pensiero che pensavamo di aver pensato per conto nostro, un’espressione della quale fino a quel momento andavamo fieri. Le è mai successo?». Risposi di no, sfoggiando una convinzione ingenua e frettolosa. Il signor Kenobi non aggiunse altro, sorrise in quel suo modo comprensivo e un po’ triste. Questo accadeva molti anni fa. Adesso alla storia del leggere e dimenticare e rileggere ho fatto l’abitudine. In fin dei conti, non credo neppure che sia un male.
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