Non potevo fare che aspettare e quindi ho aspettato. Nei mesi successivi al colloquio con l’ispettore, ho cominciato a informarmi sul mondo degli hacker, senza mai superare l’impressione di rimanere alla superficie del fenomeno. Sapete, trent’anni fa avevo trent’anni e i trentenni di trent’anni fa leggevano il cyberpunk nella speranza di conseguire qualche previsione affidabile. Certo, da quell’epoca primordiale la tecnologia si era evoluta a un ritmo impensabile e senza dubbio il signor Kenobi e i suoi colleghi (chissà se tra di loro gli hacker si chiamavano così) disponevano di strumenti incommensurabili rispetto a quelli adoperati dai primi pirati online.
Lo schema, però, restava immutato: violare un protocollo di sicurezza per trarne un vantaggio, anche solo simbolico. Se qualcosa era cambiato, era l’affievolirsi dell’iniziale spinta utopistica. Non mi facevo illusioni, sapevo che il signor Kenobi guadagnava molto bene grazie alla sua abilità di incursore informatico. Il fatto che non fossero guadagni legali rendeva plausibile qualsiasi ipotesi, compresa quella di una condanna capitale comminata per scarsa efficienza. L’hacker si era fatto scoprire, l’hacker andava eliminato. Se non ricordo male, era la trama di un racconto cyberpunk che avevo letto trent’anni fa.
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