La preghiera è un taglio deciso, può farci nascere a umanità nuova
Ci si sente leggeri, all’inizio, poi terribilmente soli, poi nudi, poi abbandonati, poi, forse, alla fine, liberi. La preghiera si trasforma in un gesto chirurgico di verità

“È molto difficile trovare un uomo capace di portare gli onori, anzi, forse non lo si trova affatto, nemmeno se uno nel suo modo di vivere fosse uguale agli angeli: e ciò perché, si può dire, se ne rimane immediatamente alterati”. Isacco di Ninive nasce all’inizio del VII secolo nei pressi del Golfo Persico, nell’attuale Qatar, mi impressiona la sua lucidità, mi sconvolge la sua modernità. Sento che dopo l’incontro con questo sue parole io posso procedere solo con un movimento che somigli alla preghiera, intellettualizzare la frase sarebbe davvero un attimo, giustificare gli onori trasformandoli in sintomi di una vita dedita al servizio, incantare il mio cuore fino a convincerlo che tutto si fa per Cristo e per la Chiesa sarebbe fin troppo facile, no, Isacco mi avverte, nemmeno gli angeli sono immuni, non lo sono certamente io. La preghiera è dura perché è anche luogo di verità su di sé. Altrimenti sarebbe una recita, ma le preghiere non si possono recitare!
Così non resta che sprofondare in me, elencare in cuore tutti gli onori che ho cercato e che continuo a cercare, quelli che trasformo in obiettivi, quelli che riempiono le mie giornate e tolgono lo spazio al vuoto, quel vuoto che somiglia troppo alla morte e che quindi mi fa paura. Individuare gli “onori” e poi tagliare la corda che mi lega a loro. Come Abramo con il figlio Isacco, tagliare per lasciare andare, anche il cordone ombelicale, indispensabile alla vita, può arrivare a strangolare il nascituro, la preghiera è un taglio deciso che può farci nascere a umanità nuova. Ci si sente leggeri, all’inizio, poi terribilmente soli, poi nudi, poi abbandonati, poi, forse, alla fine, liberi. La preghiera si trasforma in un gesto chirurgico di verità.
Alzo lo sguardo, davanti a me un Crocifisso, il Suo corpo inchiodato al legno, al setaccio di quel martirio passo tutto ciò che è la mia vita, i miei desideri, lascio che sia quel corpo trafitto a dettare la misura delle mie azioni, nessuno sconto, nessuna falsificazione. Il mio di corpo mi avverte del rischio e mi implora di andarsene, la mente cerca di convincermi che esistono cose più urgenti, più importanti, più vive. Rimango. Decido di stare ai piedi della Croce perché quello è il punto dove l’Amore sfigurato dall’odio non viene disonorato, perché ciò che davvero onora la nostra umanità è la capacità di misericordia. Onorare la vita è decidere, ancora, di rispondere alla morte con l’amore.
Quindi rimango, mi pare l’unico modo, da qui, per stare accanto a chi è costretto ad un lavoro che lo umilia, a chi tenta di rimanere umano in uno spazio di disumanità, per stare vicino a chi sta consumando la vita accudendo un corpo malato, inchiodato al legno con chi deve convivere con un cancro beffardamente danzante tra le sue carni… ma in verità rimango qui perché ne ho bisogno io, provo a resistere, perché ho bisogno di sentire, da qui, la Grazia che corpi inchiodati all’amore regalano alla mia fragilità. Ho bisogno di questo amore che tiene vivo il mondo. Ne ho bisogno io, adesso, per non franare nel delirio dei miei “onori”, per non rimanere alterato nella mia identità più profonda, quello di essere amato. Per questo prego.
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