Toscana al voto: i candidati, le sfide, la posta in gioco

di Eugenio Fatigante Inviato a Firenze
Alle Regionali di domenica e lunedì in pista l'uscente Giani, ma Meloni (in piazza con gli altri leader di centrodestra) avvisa: «Noi nati per stravolgere i pronostici». Il governatore uscente "in trasferta" a Scandicci per Conte
October 11, 2025
Toscana al voto: i candidati, le sfide, la posta in gioco
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante l'evento di chiusura della campagna elettorale in Toscana per il centrodestra
Il terzo capitolo della saga “elezioni regionali” è quello della battaglia di palazzo Strozzi Sacrati, sede della Regione Toscana. Una puntata che prevede solo due finali: una conferma, per molti scontata, oppure una sorpresa delle più clamorose. Anche girando per le vie di Firenze la prima opzione sembra la più radicata: «La vince il Giani, è ovvio», ci si sente ripetere sui Lungarno o attorno alla giostra di piazza della Repubblica. Lui è Eugenio Giani, governatore uscente e novello “granduca di Toscana” (anche per il suo aspetto da nobile dell’Ottocento, col capello bianco cotonato) in cerca del secondo mandato, lui che è un altro di quelli che puntavano ai mandati “no limits”. Contro di lui, il centrodestra reduce dalla tonificante doppietta Marche-Calabria schiera Alessandro Tomasi, sindaco di Pistoia meloniano “non doc” (da giovane era della destra sociale), votato all’impresa che pare impossibile: strappare ai “rossi” una terra che è sempre stata di sinistra, sin dall’introduzione delle Regioni. Cinque anni fa ci provò Susanna Ceccardi perché quella era la stagione della Lega e già allora il comizio finale di Meloni, Tajani e Salvini, come a Firenze venerdì sera in piazza San Lorenzo (con tanto di coro “Silvio, Silvio», nel senso ovviamente di Berlusconi), non le portò bene. Tomasi ha però una sua lettura: «Ceccardi era troppo schiacciata su Salvini, io ho fatto una campagna da politico libero, sui temi». Una libertà in nome della quale rivendica anche il patrocinio, nella sua Pistoia, dato al “Gay pride”, alla faccia delle posizioni della sua parte politica.
Proprio sulle politiche da fare lo scontro è stato forte negli ultimi tempi fra Giani, famoso anche per i suoi tuffi nell’Arno (li fa ogni Capodanno, e non solo), e il centrodestra nazionale che ha impugnato leggi toscane dal tratto fortemente identitario: fine vita (il primo in Italia a far approvare una pdl regionale), balneari e turismo, salario minimo. È una contrapposizione che il 66enne avvocato empolese (lì è nato, con antenati a San Miniato) intende portare avanti: per questa candidatura ha lottato, famosa è la sua trasferta a Roma lo scorso luglio quando, col suo nome dato allora in bilico, di fatto si impose sulla segretaria Schlein in un confronto di oltre 3 ore. Quell’accordo portava però un dazio da pagare e questo navigato politico toscano primatista di preferenze (è stato tutto: a Firenze assessore e presidente del Consiglio comunale, poi guida anche del Consiglio regionale, inoltre si vanta di aver girato tutti i comuni) lo ha fatto con l’altra scena clou di questi mesi: la stretta di mano con la plenipotenziaria di Conte, Paola Taverna, a suggellare il patto stretto con M5s, in nome anche di un reddito di cittadinanza regionale. Perché nelle urne toscane Schlein e Conte cercano, con la strada in discesa (sperano loro), di prendere un ricostituente che corrobori quel “campo largo” finora messo in difficoltà nelle altre regioni, ribattezzato ieri dalla premier un «Leoncavallo largo, un grande centro sociale» che «alimenta un business dell’odio». Logico che si guardi, in questo quadro, anche alle percentuali: 5 anni fa Giani si impose col 48,6% (in Toscana se non si supera il 40% si va al ballottaggio), distaccando Ceccardi di 8 punti. Nel frattempo, però, la destra si è presa città storiche come appunto Pistoia, poi Siena e Pisa. Una valanga solo comunale? Meloni intanto carica i suoi: «Noi siamo nati per stravolgere i pronostici».
Un aspetto curioso di questa contesa è poi quello di essere anche una sfida in salsa “socialista”. «Vengo da una famiglia umile. Con orgoglio ricordo che mio padre faceva il fornaio, è sempre stato un socialista, per questo la mia preoccupazione è soprattutto per la gente povera», dice Tomasi. Lo stesso sindaco, 46enne dai modi rassicuranti, sposato con Stella, due figli, tifoso della Pistoiese e appassionato di fumetti e letteratura americana, nel suo Cv vanta di essere sempre campato col suo lavoro d’artigiano. Come slogan della campagna elettorale ha adottato la “Rivoluzione del fare” e la declina così: «Ai calcoli numerici preferisco i progetti e le idee concrete, al presenzialismo preferisco la presenza». Una stoccata, quest’ultima, che pare proprio riferita a una delle caratteristiche principali di Giani : «Lui va ovunque, è instancabile, non c’è festa patronale o inaugurazione che salti, credo che mezza Toscana almeno l’abbia visto di persona», dice Vincenzo Cerreti, fiorentino doc, a piazza Strozzi. «Bisogna andare nei posti, è l’unico modo che conosco - osserva Giani in una pausa dei tour fatti sempre con una 500 bianca - per fare politica da quando ero un ragazzo socialista». Ecco qui l’anello di congiunzione con colui che, a suo agio in una delle sue giacche un po’ demodé, si dà ai ricordi: «Nel 1981 da coordinatore dei giovani Psi incontrai pure Arafat a Beirut», racconta (per questo vuol promuovere, in Regione, la causa palestinese). Socialista della corrente di Riccardo Lombardi, fedelissimo di Valdo Spini e poi dem renziano (“moderato” però), prima di avviare la trafila istituzionale, Giani ha fra i pochi “limiti” (per alcuni dem) quello di aver appoggiato la mozione di FI per intitolare una via a Craxi. Gli altri nei sono legati ai suoi soprannomi: “bagnomaria” per bollare il suo presunto immobilismo da amministratore e “il tartina”, legato sempre al presenzialismo da buffet.
Il centrodestra spera che a marcare la differenza sia anche il fattore “compattezza”. Perché, come sempre, loro sono stati gli unici leader capaci di mostrarsi tutti assieme sul palco. Dall’altra parte, invece, è stata quasi una gara nel tentativo di farsi del male: impossibile la foto di gruppo, come nelle Marche e in Calabria, è stato l’instancabile Giani a doversi spostare a Scandicci per una foto con Giuseppe Conte, capo di M5s, che mesi fa andava dicendo che «Giani non scalda i cuori». Ma nemmeno gli altri hanno dato vita a un finale unitario: Giani ha “chiuso” prima giovedì sera con Schlein e Bonaccini al teatro Cartiere, poi venerdì con Renzi fra le bandiere di Casa riformista (l’altra lista che lo appoggia, insieme ad Avs) a piazza Strozzi.
Non sono mancati, durante la campagna elettorale, nemmeno i temi prettamente regionali fra i 3 candidati (l’ultima è Antonella Bundu, donna «nera e di sinistra» di 55 anni, come si definisce, con un padre arrivato dalla Sierra Leone con una borsa di studio e un passato da ex del cantante Piero Pelù, che rappresenta la lista Toscana rossa). E su un punto sono tutti d’accordo: il no alla proroga per il rigassificatore di Piombino dopo il 2026, la nave Italis, opera pur appoggiata all’inizio da Giani, altro pegno pagato forse all’alleanza con grillini e Avs. Dove invece le distanze sono massime è sul Cpr, il centro per i rimpatri degli immigrati che la destra vorrebbe installare, perché «la situazione sicurezza sta esplodendo in Toscana - argomenta Tomasi - e noi vogliamo difendere soprattutto chi non può permettersi le inferriate a casa, i poveri». «Io in Toscana non li voglio», sostengono invece Giani e Bundu. Linee divergenti, inevitabilmente, anche sulla sanità , col governatore uscente che punta soprattutto a «realizzare le Case di comunità» previste dal Pnrr, mentre Tomasi sostiene che «il 51% dei toscani si rivolge già al privato per le visite». C’è poi tutto il capitolo delle infrastrutture, con Tomasi che rinfaccia all’Eugenio uscente di «non aver fatto nulla per una grande opera come la Firenze-Pisa-Livorno, la Tirrenica o l’aeroporto di Firenze-Peretola». Anche se per quest’ultima l’esponente dem assicura che i lavori vanno avanti, come per la Siena-Grosseto a 4 corsie (su cui c’è però anche l’impegno, da ministro, di Salvini). Infine, ultimo aspetto in questo capitolo toscano, c’è da capire quanto peserà a destra - e nella Lega - la componente dell’ex generale Roberto Vannacci, sempre dato in ascesa nel Carroccio, che nelle liste ha piazzato due fidi scudieri. I numeri di lunedì daranno un’indicazione anche qui.

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