Nato, inizia l'era del 5%. Trump brinda, Rutte lo esalta: saremo letali
di Redazione
La Spagna resta un giallo: firma l'intesa ma conferma di non voler raggiungere i nuovi target. Trump: non glielo permetterò, dazi doppi. Nel documento sostegno a Kiev ma senza condanna della R

Nulla descrive l’Assemblea generale della Nato conclusasi all’Aja quanto il messaggio privato che Mark Rutte, segretario generale dell’Alleanza, ha inviato ieri al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Un sms che il tycoon ha ben pensato di pubblicare sul suo social Truth: «L'Europa pagherà il suo contributo in modo consistente, come è giusto che sia, e sarà una tua vittoria – scrive Rutte -. Otterrai qualcosa che nessun altro presidente americano è riuscito a fare in decenni. Non è stato facile ma siamo riusciti a far sì che tutti si impegnino a raggiungere il 5%».
Oggi tutto si è compiuto secondo l'indirizzo già definito dalla messaggistica privata tra il segretario della Nato e il presidente Usa. La Nato entra nell'era in cui i 32 Stati membri si impegnano a raggiungere il 5% del Pil di spesa in difesa. Un'intesa politica in cui Rutte è riuscito a trascinare tutti i Paesi alleati, compresa la Spagna, che firma e al contempo prende le distanze, prolungando il giallo degli ultimi giorni. Consapevole che l’alternativa poteva essere il concretizzarsi della minaccia dello stesso Trump, abbandonare la Nato a se stessa, il segretario generale dell'Alleanza, nonché ex premier olandese, brinda: «Gli alleati insieme hanno posto le fondamenta per una Nato più forte, più equa e più letale. La Nato ha concordato il piano di investimenti, che sosterrà un salto quantico nella nostra difesa collettiva». Ha fatto molto discutere, in questo giorno, il modo in cui Rutte ha costantemente lusingato Trump: anche ieri, commentando l'intervento del presidente Usa mentre Iran e Israele si sottraevano alla tregua, l'ha definito «daddy», «paparino», costretto a intervenire con toni duri tra due bambini che litigano. Per Rutte, tutti questi elogi sono «meritati», sebbene i leader europei non ne siano rimasti entuasiasti.
Ovviamente soddisfattissimo il presidente Usa, che torna a casa con il trofeo che chiedeva, far spendere a canadesi e europei più soldi per la loro difesa. «Il 5% è un passo storico, monumentale ci sono riuscito», esulta il presidente Usa.
Lo strano caso della Spagna e il compromesso sulla Russia
Il marchio di Trump si vede anche da altri due esiti del vertice. Sotto pressione non tanto sua, quanto del segretario di Stato Marco Rubio, alla fine la Spagna firma. Ma Sanchez, in conferenza stampa, conferma la linea della vigilia: il 2,1% di Pil in difesa soddisfa le richieste di capacità della Nato. Insomma la Spagna non fa saltare l'unanimità ma si è presa una deroga informale. Che però sarà ancora oggetto di discussione, perché lo stesso Trump è stato durissimo «La Spagna è terribile, è l'unica che non vuole pagare ma non glielo permetterò. Eppure la loro economia va bene». La minaccia di Washington - non si comprende quanto praticabile - è quella di applicare dazi doppi a Madrid. Sanchez non si scompone. Non ha visto né salutato Trump e resta un protagonista del vertice. E lo sarà su scala ampia nei prossimi giorni. Perché le sue mosse vengono prese come riferimento da diversi leader laburisti europei, compresa la segretaria del Partito democratico Elly Schlein. Già al Consiglio Europeo che si terrà tra poche ore si capirà se Madrid ha indispettito o meno gli altri Paesi Ue. Di certo dietro Sanchez si sono nascosti i dubbi di altri Paesi, tra questi anche la Slovacchia del sovranista Robert Fico, che dà voce alle perplessità cui si aggancia anche la Lega di Matteo Salvini. Chiaro che Giorgia Meloni, dal suo punto di vista, ha tutto l'interesse a rimarcare che «la Spagna ha firmato come tutti noi».
Quanto al fronte ucraino, Trump media. Accetta che il testo finale confermi il sostegno a Kiev, ma ottiene che non si condanni l'aggressione russa. Mosca resta classificata come pericolo, ma circa il conflitto il presidente Usa vuole ancora tenersi le mani libere con Putin. Non è un caso che Washington abbia detto "no" a nuove sanzioni americane a Mosca, chieste dagli europei e dalla stessa Giorgia Meloni. In ogni caso, l'atteso bilaterale Trump-Zelensky si è svolto e il leader di Kiev ne è uscito soddisfatto. «Un incontro lungo e di sostanza - dice Zelensky - si è parlato di come raggiungere un cessate il fuoco e una vera pace, e di come proteggere i civili ucraini». A conclusione del vertice Nato, Zelensky ha avuto un incontro anche con i capi di governo di Germania, Francia, Italia, Polonia e Gran Bretagna, alla presenza di Rutte.
Su Ucraina e Russia continua a insistere dunque un cortocircuito, tra Usa e Ue. Trump spinge l’Europa e gli altri Paesi Nato a spendere il 5% di Pil in difesa per proteggersi meglio anche dalla minaccia russa, e ciò non metterebbe in discussione il ruolo Usa a “protezione” dell’Alleanza. Tuttavia, l’aumento della spesa in armi viene percepita come una minaccia da Mosca, con cui il tycoon
vorrebbe chiudere un’intesa complessiva. Per il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov la Nato ha bisogno di «demonizzare» la Russia per giustificare le sue scelte. Mosca critica dunque la «militarizzazione sfrenata» assumendo a sua volta questo dato come pretesto per giustificare il suo passaggio, già avvenuto, in piena economia di guerra.
vorrebbe chiudere un’intesa complessiva. Per il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov la Nato ha bisogno di «demonizzare» la Russia per giustificare le sue scelte. Mosca critica dunque la «militarizzazione sfrenata» assumendo a sua volta questo dato come pretesto per giustificare il suo passaggio, già avvenuto, in piena economia di guerra.
Il sì di Meloni e il colloquio con Trump: Usa siano incisivi anche su Ucraina e Gaza
L’Italia di Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Guido Crosetto fa parte di quel gruppone a guida europea che prende sul serio sia la minaccia isolazionista di Trump sia la minaccia russa, e quindi firma l’accordo, rinviando poi al dibattito europeo ancora aperto sulle forme di finanziamento. Sebbene nessuno sia entusiasta di spendere in armi, come ammesso anche dalla premier italiana lunedì alla Camera quando ha svelato il timore di ripercussioni sul consenso. Non a caso, l’opposizione interna più dura, quella di Giuseppe Conte, ha svolto ieri a L’Aia un controvertice pacifista contro il riarmo, iniziativa che ha messo in difficoltà Pd e centristi. In ogni caso, la premier sembra più convinta della linea Nord-atlantica, che prevede il rafforzamento delle difese degli Stati nazionali, che non delle ipotesi di difesa europea. Al tavolo dei negoziati, infatti, Meloni ha fatto anche valere il ruolo che l'Italia gioca sulla protezione aerea di Slovenia e Paesi baltici, facendo intendere che anche questi Paesi, crescendo in spesa militare, potranno badare meglio a se stessi. Il sì dell'Italia Meloni ha avuto modo di comunicarlo direttamente a Donald Trump durante la cena offerta ieri sera dai reali olandesi. La premier era seduta al tavolo con il re, con il presidente Usa, con Rutte, con il turco Erdogan e il ceco Pavel. Meloni e Trump erano fianco a fianco, questo ha offerto la possibilità di un lungo colloquio in cui di nuovo la premier ha vestito i panni della mediatrice tra Ue e Usa. I due hanno parlato anche degli sviluppi in Medioriente. Meloni ha confermato la linea italiana ed europea, che chiedono stabilità nella regione e dialogo. Il colloquio a cena è stata la "risposta" indiretta della premier a due fatti: il previsto bilaterale Macron-Trump dopo gli screzi sull'Iran e l'esclusione dell'Italia dal prevertice sull'Assemblea Nato tenuto da Germania, Francia e Gran Bretagna. La linea dell'Italia al vertice Nato è stata al centro anche del confronto tra la premier Meloni e il capo dello Stato Sergio Mattarella, ieri al Quirinale. Tornando a fine vertice sul suo colloquio con Trump, Meloni ha riferito di aver chiesto al presidente Usa la stessa determinazione avuto con Israele e Iran anche a favore di Ucraina e Gaza. Inoltre, ha ammesso che a quattr'occhi si è parlato anche di dazi: l'Italia si sta stabilizzando sulla posizione di chi potrebbe accettare il 10%, ma l'Ue - che ha la delega sul commercio - deve tenere conto anche di posizioni diverse.
L'affondo di Washington sull'articolo 5 (con chiarimento successivo)
All'esito del vertice certamente hanno contribuito le “minacce” della vigilia del tycoon. Al G7 in Canada le esternazioni ad effetto di Trump hanno avuto l’effetto di riavvicinare Roma, Berlino e Parigi ma non certo al punto di organizzare una controstrategia o una contronarrazione. Trump conosce questa debolezza strutturale dell’asse europeo e dunque gioca con le paure degli alleati. In viaggio martedì verso L’Aia, aveva in discussione anche l’articolo 5, quello del mutuo soccorso tra i Paesi Nato in caso di aggressione. «Dipende dalla vostra definizione, ci sono diverse definizioni dell'articolo 5», aveva detto il presidente Usa ritenendo dunque «interpretabile» il pilastro che regge l’Alleanza atlantica. Arrivato però in Olanda, con Rutte a fianco, Trump ha rassicurato: «Siamo sempre con i nostri alleati. E la Nato sarà molto forte». Parole ripetute a fine vertice. E l'articolo 5 è entrato anche nelle conclusioni.
Cosa significa per l'Italia arrivare al 5% e l'incognita Lega
E pensare che appena poche settimane fa si immaginava che per l’Italia, il vertice Nato, avrebbe rappresentato semplicemente l’occasione per comunicare a Trump e agli alleati il raggiungimento del vecchio target del 2% (soprattutto attraverso un “riconteggio” delle spese già in essere). A intesa firmata, per Roma si aprirà la stagione del 5%. Il fatto di non avere “obblighi annuali” fa respirare l’Italia. Il governo è intenzionato come prima leva ad attivare Safe, lo strumento per il finanziamento di progetti per difesa e sicurezza europea basati sull'emissione di bond comuni. Si tratta di prestiti legati a progetti che riguardano almeno due Paesi partner. Per il 2026, ha detto la premier Meloni, non sarà invece richiesta la sospensione del Patto di stabilità: il ministro dell’Economia Giorgetti è contrario, ricordando che i mercati guardano all’aumento del debito pubblico a prescindere che questo sia o meno consentito dall’Unione Europea. Insomma la prossima manovra dovrebbe reggere il peso del primo aumento di spese militari. Ma il quadro da qui al 2035 è di investimenti così massicci da cambiare il volto dell’industria italiana. Secondo Milex, osservatorio sulle spese militari, il passaggio al 5% farà si che nel 2035 saranno spesi 145 miliardi in difesa e sicurezza, contro gli attuali 45. Tuttavia, la partita contabile è ancora lunga. Quella siglata a L'Aia è un'intesa politica, l'Italia come altri Paesi sperano di poter raggiungere il doppio standard del 3,5% e dell'1,5% anche attraverso riconteggi e riclassificazioni delle spese. Ad esempio, Roma non esclude che anche il Ponte sullo Stretto possa essere identificato come asset per la sicurezza strategica. In ogni caso, anche le previsioni più soft confermano che l'Italia dovrà avere un ritmo di crescita della spesa in difesa di almeno 3-4 miliardi di euro all'anno, cifra che, puntualmente, non si riesce a reperire in manovra per la spesa sociale, in istruzione e in sanità. Oggi a vertice concluso, in un punto stampa, la premier ha negato che si arriverà a 100 miliardi di spesa aggiuntiva in armi. E ha anche provato a stroncare sul nascere le obiezioni della Lega. Il responsabile economico del Carroccio, Alberto Bagnai, ritiene che il 5% sia un obiettivo insostenibile. La premier gli ricorda che lei è arrivata a L'Aia con il mandato del Parlamento e il voto della maggioranza.
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