Pressing sulle armi Usa e Green deal: i chiaroscuri di Meloni a Bruxelles

Per la premier il nodo degli acquisti di armamenti americani via Nato. Faccia a faccia con Von der Leyen per lo sconto sulle emissioni. Tajani la sfida: il diritto di veto va ridotto
October 23, 2025
Pressing sulle armi Usa e Green deal: i chiaroscuri di Meloni a Bruxelles
Giorgia Meloni al vertice di Bruxelles / Ansa
In fondo è stata la sua scommessa fin dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca: The Donald non avrebbe rotto l’unità dell’Occidente. E in effetti Meloni, ieri mattina, all’alba di un lungo e complesso vertice europeo, poteva ben rivendicare la bontà della sua linea politica. Washington alza la pressione su Mosca, e si allinea alle azioni (e soprattutto alle aspettative) dell’Unione Europea.
Tuttavia, c’è un’altra faccia della medaglia. Le sanzioni Usa e il 19esimo pacchetto europeo confermano che la guerra in Ucraina potrebbe allungarsi. E se si allunga, tornano pressioni che Roma sembrava aver ammortizzato: quelle per dare armi a Kiev.
Il riserbo delle fonti diplomatiche italiane è totale. Nel riferire dell’esito delle discussioni a 27 su sicurezza e difesa, del confronto collettivo e a due con Zelensky, si ricorda che oramai queste sessioni si svolgono senza dispositivi tecnologici. Una misura di prudenza che serve anche a non evidenziare i problemi politici che sottendono il capitolo “armi”. Problemi europei - se non si sbloccano i fondi russi non ci sono i soldi per aiutare Zelensky - e problemi italiani, perché un “salto di livello” delle forniture italiane potrebbe creare grossi problemi con la Lega di Matteo Salvini.
Le pressioni sono multilivello. L’Ue pressa. Zelensky pressa. Il segretario della Nato, Mark Rutte, pressa. E anche Trump, per via della ritrosia sinora mostrata da Roma all’acquisto di materiale bellico statunitense da girare poi a Kiev, attraverso il canale dell’Alleanza atlantica. Si parla dell'iniziativa Purl, l'acquisto di pacchetti di materiale bellico degli States dal valore di 500 milioni ciascuno. Ai pacchetti gli Stati accedono in compartecipazione. Nei giorni scorsi a sorpresa ha aderito la Spagna di Pedro Sanchez. Ora Roma deve dare una risposta all'alleato americano e ai partner Nato. In gioco è una spesa da circa 120 milioni, ma più del significato economica pesa il significato politico. È noto d'altra parte che è in preparazione alla Difesa il dodicesimo pacchetto di aiuti italiani, e che la Lega è sulla linea del Piave a controllare che Roma non dia segnali “militaristi” all’opinione pubblica interna.
Allo stesso tempo, la notte di mercoledì e l’intero giovedì bruxellese sono stati dedicati dalla premier anche a creare una sorta di “gruppo di pressione” su Von der Leyen su diversi temi in agenda, in particolare sulla correzione del Green deal.
La premier è parsa tra le più combattive nel chiedere conto, di buon mattino, alla presidente del Parlamento Europeo Roberto Metsola, di certi rallentamenti che subiscono i provvedimenti che invece il Consiglio dei Ventisette approva anche forzando i tempi.
L’Italia vuole passare all’incasso su semplificazioni e revisione delle regole sulle emissioni. Prima che i lavori del Consiglio entrassero nel vivo, Meloni ha avuto un faccia a faccia con Von der Leyen su questi temi. Appena mercoledì alle Camere la premier aveva minacciato il veto contro l’emendamento della Commissione alla Legge europea per il clima, se non accompagnato da un «cambio di approccio». Al termine della giornata europea, fonti di Palazzo Chigi sembravano ottimiste su una possibile condivisione di un pacchetto di interventi in grado di salvaguardare i settori industriali più a rischio e in particolare l’automotive, con l’ingresso anche in questo comparto del concetto di «neutralità tecnologica», per attenuare la spinta sull’elettrico. Su queste stesse priorità nella mattinata di ieri Meloni ha tenuto una riunione informale con Belgio, Von der Leyen e i leader di Austria, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi. La novità potrebbe essere in un possibile avvicinamento con Macron sull’agenda ambientale. In ogni caso i tempi stringono. Bisogna dare una risposta prima della Cop 30. Le tesi in campo sono tre: lasciare intatti gli obiettivi sulle emissioni al 2040 (meno 90% rispetto al 1990), garantirsi una flessibilità del 3% o puntare ad uno sconto del 5% (è la posizione di Roma). Il 4 novembre si riuniranno i ministri competenti. Poi il 12 febbraio il presidente del Consiglio Antonio Costa vuole tutti in "ritiro" per sciogliere i nodi che dividono le Nazioni sulla competitività.
Anche sui migranti ieri la premier italiana ha voluto tenere alta la pressione, con un nuovo vertice informale sulle «soluzioni innovative». Alla presenza di Von der Leyen, Danimarca, Olanda, Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Germania, Grecia, Lettonia, Malta, Polonia e Svezia, la premier è tornata a battere «sul tema della capacità delle Convenzioni internazionali di rispondere alle sfide della migrazione irregolare». Un nuovo affondo sul ruolo della Cedu nelle espulsioni.
A Bruxelles ieri c’era anche il vicepremier e capo di Forza Italia Antonio Tajani, che partecipando al pre-vertice del Ppe ha preso le distanze dalle parole pronunciate dalla premier sul superamento del diritto di veto. «Non ne abbiamo mai parlato in maggioranza, ne parleremo - replica Tajani -. Meloni ha detto la sua opinione, io penso invece che si debba fare qualche passo in avanti. Noi siamo una forza europeista, crediamo nel progetto di De Gasperi e Berlusconi» per arrivare agli Stati Uniti d’Europa. Il quadro non è lineare: mentre Tajani e Salvini litigano sulla manovra, lei con entrambi ha opzioni diverse circa i doveri e il futuro dell’Ue.

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