Il caso Appendino e la questione mai risolta dell'alleanza con il Pd
La “numero due” del M5s scuote l’assemblea dei gruppi dopo le delusioni elettorali: lascio da vice. Conte: non ci sono dimissioni

Di nuovo c’è la mossa di Chiara Appendino, che avrebbe messo sul piatto le sue dimissioni dalla vicepresidenza del Movimento. Ma in fondo la questione è vecchia e dal 2019 (anno in cui nacque il governo Conte 2) torna ciclicamente all’indomani di ogni batosta elettorale: alleanza col Pd sì o no? Strutturale o programmatica? Solo su base nazionale o anche nei territori? Un tema sempre caldo tra i 5 stelle, tanto più che anche prima di queste regionali d’autunno il presidente stellato è tornato a parlarne, chiarendo che «un’alleanza organica non è possibile», ma precisando che il Movimento resta comunque parte integrante del fronte progressista ed è deciso a partecipare assieme a Pd e Avs alla costruzione di un’alternativa al governo Meloni. In realtà, è possibile che un buon risultato in Puglia e in Campania, e ovviamente una prova convincente di Roberto Fico, riporti le cose in ordine. Ed è anche vero che su base territoriale il Movimento non ha mai offerto prove esaltanti.
Di fatto, però, il dibattito interno è forte. Appendino ha sganciato la mina nel corso della consueta riunione mensile dei gruppi parlamentari, ponendo questioni di identità e di appiattimento nei confronti dei dem: «Se si va male – è la sintesi del ragionamento proposto nell’assemblea dall’ex sindaca di Torino – e se non riusciamo ad attrarre voti degli astensionisti, che invece sono sempre stati il bacino da cui attingeva il Movimento, ci dobbiamo mettere in discussione». A partire da lei, evidentemente.
Per Conte, però, non c’è nessun caso: «Abbiamo fatto, come spesso accade, un confronto in congiunta e non c'era stato nessun annuncio di dimissioni, io non ho ricevuto nulla». Ma non è tutto: «Permettetemi pure di dire che sono il presidente che ha nominato la vice. Credo che se ci fossero dimissioni sarebbero arrivate prima a me – ha puntualizzato l’ex premier –. Non sono arrivate e poi in questo contesto non avrebbe neppure nessuna logica, perché tenete conto che io devo andare in votazione per un rinnovo della presidenza e, quindi, siamo tutti in scadenza. E scadono automaticamente anche i vicepresidenti».
Conte è poi tornato a ripetere che, «in ossequio a quello che è stato sancito nel nuovo processo costituente», il Movimento 5 stelle si definisce, e continua a essere, una forza «progressista indipendente». E con il Pd «si va solo se ci sono programmi chiari, concordati per iscritto, condivisi, dove ovviamente i nostri obiettivi strategici sono condivisi. E questo - ha proseguito - è stato fatto sin qui: noi siamo assolutamente tutti legati a quello che è stato il processo costituente, il mandato che abbiamo ricevuto».
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