sabato 22 aprile 2017
Francesco ha pregato per i "martiri del nostro tempo nella basilica di San Bartolomeo all'Isola Tiberina. "Anche oggi tanti i cristiani perseguitati"
«I campi per i rifugiati non siano campi di concentramento»
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"La Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri". Sono le parole del Papa che ha presieduto la Liturgia della Parola nella basilica di San Bartolomeo all'Isola Tiberina, consacrata al culto dei "martiri" del XX e XXI secolo. Il quale ha anche chiesto che aiuto per i profughi. "I campi di rifugiati, tanti, sono campi di concentramento per la folla di gente lasciata lì e i popoli generosi che li accolgono debbono portare avanti da soli questo peso, e gli accordi internazionali sembrano più importanti dei diritti umani". Significative da questo punto di vista, anche le parole pronunciate a braccio sulla porta della Basilica, prima di anadare via: "Pensiamo alla crudeltà che oggi si accanisce su tanta gente. Lo sfruttamento di tanta gente. La gente che arriva sui barconi, ma che non resta nei Paesi generosi come l'Italia e la Grecia che li accolgono. Se in Italia si accogliessero due migranti per municipio, ci sarebbe posto per tutti. Che questa generosità da Sicilia, da Lesbo e dal Sud contagi anche il Nord. Noi siamo una civiltà che non fa figli ma anche chiudiamo la porta ai migranti. Questo si chiama suicidio".



In un giorno significativo (esattamente quattro anni fa venivano rapiti i vescovi ortodossi di Aleppo Boulos Yazigi e Gregorios Ibrahim, dei quali non si hanno più notizie, come del resto del gesuita italiano, padre Paolo Dall'Oglio) e a pochi giorni dal suo viaggio in Egitto, Francesco ha sottolineato che "Tutti costoro sono il sangue vivo della Chiesa. Sono i testimoni che portano avanti la Chiesa; quelli che attestano che Gesù è risorto, che Gesù è vivo, e lo attestano con la coerenza di vita e con la forza dello Spirito Santo che hanno ricevuto in dono. Ricordare questi testimoni della fede e pregare in questo luogo è un grande dono".


"Siamo venuti pellegrini in questa Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina - ha sottolineato dunque -, dove la storia antica del martirio si unisce alla memoria dei nuovi martiri, dei tanti cristiani uccisi dalle folli ideologie del secolo scorso, e uccisi solo perché discepoli di Gesù". "L’eredità viva dei martiri - ha proseguito il Papa - dona oggi a noi pace e unità. Essi ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra e si può realizzare con pazienza la pace. E allora possiamo così pregare: O Signore, rendici degni testimoni del Vangelo e del tuo amore; effondi la tua misericordia sull’umanità; rinnova la tua Chiesa, proteggi i cristiani perseguitati, concedi presto la pace al mondo intero".


Il Papa ha anche ricordato "i tanti martiri nascosti, quegli uomini e quelle donne fedeli alla forza mite dell’amore, alla voce dello Spirito Santo, che nella vita di ogni giorno cercano di aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve. Se guardiamo bene, la causa di ogni persecuzione è l’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione". Ma Gesù, ha aggiunto Francesco, ci ha detto: "Non spaventatevi! Il mondo vi odierà; ma sappiate che prima di voi ha odiato me". Dunque, ha aggiunto, "di che cosa ha bisogno oggi la Chiesa?” Di martiri, di testimoni, cioè dei santi di tutti i giorni, quelli della vita ordinaria, portata avanti con coerenza; ma anche di coloro che hanno il coraggio di accettare la grazia di essere testimoni fino alla fine, fino alla morte. Tutti costoro sono il sangue vivo della Chiesa".


In un'aggiunta braccio al discorso scritto, papa Bergoglio ha detto di voler aggiungere un'icona a quelle dei "martiri" venerati a san Bartolomeo. "Non conosco il suo nome - ha detto -. Il marito un musulmano, l'ho incontrato a Lesbo (l'isola greca dove sono molti profughi, visitata nell'aprile del 2016, ndr) e mi ha raccontato che quando sono arrivati i terroristi, e si sono accorti che era cristiana, le hanno chiesto di abiurare, ma lei non ha voluto e l'hanno sgozzata".


Il pontefice era stato accolto all'esterno della basilica da una folla festatante di diverse migliaia di fedeli, con striscioni come "Benvenuto papa Francesco", "Pace in tutte le terre", "I martiri ci uniscono". La prima sosta l'aveva fatta di fronte al gruppo di bambini delle "Scuole dalla pace" di Sant'Egidio, alcuni dei quali gli hanno regalato dei disegni. Tra la folla anche una delegazione di rom, (nella chiesa è ricordato anche Zefirino, il primo santo del popolo rom, ndr). A salutare Francesco erano stati poi il fondatore e il presidente della comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi e Marco Impagliazzo. "I martiri - aveva detto il primo - ricordano che i cristiani non sono vincenti per potere, armi, denaro, consenso", perché abitati "da una sola forza, quella umile della fede e dell’amore". In un tempo segnato da violenza, guerra e terrorismo "c'è bisogno di vittoria: ma non dell’una o l’altra parte, ma della pace e dell’umanità". "La nostra preghiera stasera accompagna e prepara il suo prossimo viaggio in Egitto, terra di martiri ma anche di dialogo", ha concluso Riccardi.


Nel corso della preghiera sono risuonate le testimonianze di Karl Schneider, figlio del pastore riformato Paul, detto il "predicatore di Buchenvald", di Roselyne, la sorella di padre Jacques Hamel, il sacerdote, ucciso a Rouen lo scorso luglio e di Francisco Hernandez Guevara, amico di William Quijano, un giovane di 21 anni, assassinato in Salvador nel 2006, perché insegnava ai poveri. Era presente tra gli altri anche il cardinale Ernest Simoni, che da sacerdote ha passato 28 anni ai lavori forzati in Albania e che in un precedente incontro Francesco ha definito anch'egli "un martire".


Il Papa ha quindi benedetto una piccola scultura di legno dipinto, raffigurante una colomba, che proviene dall'iconostasi di un'antica chiesa di Aleppo, bombardata durante l'assedio della città. A porgergliela un rifugiato siriano di Aleppo, giunto in Italia attraverso i corridoi umanitari. Dopo la benedezione del Papa, la colomba è stata posta sull'altare della cappella che custodisce le memorie dei martiri dell'Asia e del Medio Oriente. Infine, prima di tornare in Vaticano, Francesco si è intrattenuto, nei locali, accanto alla Basilica, con un gruppo di profughi giunti in Italia con i corridoi umanitari. Tra questi, Tadese Fisaha, giovane eritreo sopravvissuto di Lampedusa, che ha donato al Papa una cartolina raffigurante i volti delle vittime del terribile naufragio del 3 ottobre 2013.















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