sabato 15 settembre 2018
La Messa al Foro Italico a 25 anni dalla morte di padre Puglisi: essere mafiosi è bestemmiare Dio con la vita. Il pranzo da Biagio Conte. La tappa nel rione Brancaccio, prima di incontrare i giovani
Il Papa celebra la Messa a Palermo (VaticanMedia/Ansa)

Il Papa celebra la Messa a Palermo (VaticanMedia/Ansa)

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Nel 1993 Giovanni Paolo II lanciava da Agrigento il suo grido “scaturito dal cuore” ai mafiosi: «Convertitevi». Venticinque anni dopo, sempre dalla Sicilia, ma stavolta da Palermo papa Francesco riprende quelle parole. E scandisce: «Ai mafiosi dico: cambiate!». Francesco è il Papa della misericordia e quindi li chiama «fratelli e sorelle», vocaboli aggiunti a braccio. E fra gli applausi incalza gli affiliati: «Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi, convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo. Altrimenti la vostra vita andrà persa». Il suo monito risuona al Foro Italico, il lungomare di Palermo che accoglie più di 100mila pellegrini per la Messa che Francesco celebra nella seconda metà della mattina in occasione del 25° anniversario della morte di padre Pino Puglisi, il primo martire della mafia dichiarato beato dalla Chiesa. Perché proprio il 15 settembre 1993 il “sacerdote di strada” veniva ucciso nel suo quartiere d’origine, Brancaccio, il “fortino” di Cosa Nostra dove Puglisi aveva tradotto il Vangelo in promozione umana e riscatto sociale.

(IL TESTO DELL'OMELIA)

La lezione di don Puglisi fa da spunto a papa Francesco per riaffermare con espressioni durissime la netta incompatibilità fra Vangelo e cosche, come aveva fatto anche Benedetto XVI nella sua visita a Palermo nell’ottobre 2010. «Non si può credere in Dio ed essere mafiosi», sottolinea Bergoglio ancora una volta applaudito dai pellegrini. E precisa: «Chi è mafioso non vive da cristiano perché bestemmia con la vita il nome di Dio». Da qui l’energico richiamo: «Oggi abbiamo bisogno di uomini di amore, non di uomini di onore; di servizio, non di sopraffazione». Un messaggio che è come un prolungamento di quella «scomunica» ai mafiosi lanciata da Francesco in Calabria, a Sibari, nel giugno 2014.

A Palermo Bergoglio parla anche in siciliano. E si affida al vocabolo dialettale “piccioli” per condannare la ricerca forsennata di «soldi», «potere» e «piacere» attraverso cui «il diavolo ha le porte aperte», dice. Riferimento indiretto allo stile della malavita, insieme con l’invito a difendere «sempre la vita» e alla frase: «Non si può credere in Dio e odiare i fratelli». Con lo sguardo il Papa si ferma più volte sull’azzurro del mar Tirreno accanto a cui si trova l’altare. In un angolo la reliquia di padre Puglisi che definisce «povero fra i poveri della sua terra». Lui, sottolinea il Pontefice, non «viveva di appelli anti-mafia, ma seminava bene, tanto bene». Come a rimarcare: non bastano i discorsi per sconfiggere la mentalità criminale fondata sulla «logica del portafoglio», del «dio-denaro», sottolinea.

Nella sua riflessione il Papa ricorda il «sorriso» di Puglisi che toccò il cuore anche di uno dei suoi sicari. «Abbiamo bisogno di tanti preti del sorriso, di cristiani del sorriso» perché, aggiunge il Pontefice, «credono nell’amore e vivono per servire». E a Palermo Bergoglio indica qual è l’«unico populismo cristiano»: «sentire e servire il popolo senza gridare, senza accusare e suscitare contese». Parole che possono essere lettere anche come una risposta implicita al caso Viganò che ha scosso la Chiesa. E rivolgendosi a ciascun cristiano esorta: «Non aspettare che la Chiesa faccia qualcosa per te, comincia tu. Non aspettare la società, inizia tu». Appello a vincere la rassegnazione che talvolta imprigiona il Mezzogiorno.

Poco prima delle 11 il Pontefice atterra in elicottero a due passi dalle banchine del porto di Palermo dove negli anni sono arrivate decine di navi dei migranti salvati dalla Marina o dalle ong. E in papamobile Francesco attraversa tutto il Foro Italico. In 100mila riempiono l’area che qualcuno ribattezza scherzando il “Forno italico” per il sole a picco che c’è sopra il capoluogo siciliano. Si superano i trentacinque gradi dopo che ieri due violenti nubifragi potevano rischiare di rovinare la giornata palermitana del Papa. Pellegrini in piedi già quando l’elicottero “pontificio” sorvola la zona. Le transenne sono in gran parte decorate con le bandiere bianche e gialle del Vaticano. C’è chi ha passato la notte sul lungomare. E da tutta la regione i pellegrini sono arrivati per salutare Bergoglio. Ma c’è anche chi ha attraversato lo Stretto. Come un gruppo di Catanzaro-Squillace che issa uno striscione in cui il nome dell’arcidiocesi si affianca a quello di padre Pino Puglisi.

IL PRANZO CON POVERI, MIGRANTI, EX DETENUTI E VOLONTARI

Dopo la Messa, lo spostamento in via Decollati dove il coro “Francesco, Francesco” dei bambini, una canzone scritta da una suora dal titolo “Mare, mare” e il lancio di palloncini bianchi hanno accolto il Papa nella “Missione Speranza e Carità” per il pranzo insieme a 160 poveri, migranti, ex detenuti, volontari. Fuori dalla mensa ma sempre all'interno della missione ci sono altre 1.300 persone che pranzano in contemporanea con Francesco.

Accompagnato dall’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, ad accogliere Francesco all'interno c’è una barca realizzata con materiale riciclato che rappresenta una barca, l’opera è stata realizzata da un falegname tunisino sordomuto. La comunità femminile della missione, composta da persone di varie nazionalità, ha realizzato delle statuine che raffigurano persone di tutto il mondo. Tutte la statuine sono state messe sulla imbarcazione per lanciare il messaggio: “Siamo tutti sulla stessa barca per costruire insieme un mondo migliore”.

IL MENU PER IL PAPA

Olive condite, formaggio, pane, insalata di riso, cous cous, pollo panato e insalata e dolci preparati dalle suore di vari Paesi della missione femminile. E’ il menù proposto al Papa, preparato con prodotti coltivati nelle missioni di Tagliavia, Scopello, e Villa Florio. A servirlo sono i volontari e gli uomini e le donne accolti nella missione di fratel Biagio.

LENZUOLA BIANCHE SVENTOLANO AL QUARTIERE BRANCACCIO

Nel primo pomeriggio la tappa nel quartiere di Brancaccio, alla periferia di Palermo. È il rione di padre Puglisi dove è nato, ha vissuto, è stato parroco ed è stato ucciso dalla mafia. Prima Francesco si ferma nella chiesa di San Gaetano, la parrocchia guidata da don Pino per tre anni, fino a quando non è stato assassinato. Poi l’arrivo nella piazzetta Anita Garibaldi che da due giorni si chiama anche “Piazza Beato Puglisi".

Dalle terrazze delle case scendono molte lenzuola bianche. Alle finestre dei condomini alveari che sono il simbolo di Brancaccio sono tutti affacciati. Una ragazza disabile dona il mazzo di rose che Francesco depone sul medaglione che ricorda il punto esatto in cui padre Puglisi è stato ucciso e il suo corpo trovato fra le auto parcheggiate. In silenzio si ferma in preghiera. E con l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, entra nel condominio dove abitava la famiglia Puglisi, al primo piano della palazzina al civico 5. Un appartamento povero, di quattro stanze, che oggi ospita la casa-museo “Beato Pino Puglisi” e che il Papa visita in forma privata.

All'uscita Bergoglio saluta i fratelli di don Pino, Gaetano e Francesco, i nipoti del beato, il presidente del Centro Padre Nostro, Maurizio Artale, il presidio sociale fondato da padre Puglisi a Brancaccio per il riscatto della borgata. E poi i saluti ai volontari del Centro e ai residenti delle case limitrofe.

L'INCONTRO DI PAPA FRANCESCO CON IL CLERO

Nella Cattedra di Palermo il Pontefice incontra il clero. Appena entrato s’inginocchia davanti alla tomba di Puglisi, in una cappella laterale. L’arcivescovo Corrado Lorefice gli dice a nome di tutti i preti: «Papa Francesco, siamo con lei. La sosteniamo con la preghiera». Parole che possono essere lette come un attestato di vicinanza dopo il caso Viganò. E Bergoglio, in un articolato discorso in cui tratteggia l’identità del sacerdote a partire da tre verbi («celebrare», «accompagnare», «testimoniare»), accenna a braccio a una «Chiesa tanto ferita». Sollecita a «pregare per chi fa del male» e ad alimentare «il desiderio di unire secondo Dio; non di dividere secondo il diavolo». E fa sapere: «Mettere zizzania, provocare divisioni, sparlare, chiacchierare non sono “peccatucci che tutti fanno”: è negare la nostra identità di sacerdoti». Pressante la richiesta di coerenza nel ministero. «Testimoniare vuol dire fuggire ogni doppiezza di vita, in seminario, nella vita religiosa, nel sacerdozio. Non si può vivere una doppia morale: una per il popolo di Dio e un’altra in casa propria». Quasi un riferimento ai casi di abusi o molestie, come quelli di cui è stato accusato l’ex cardinale Theodore McCarrick.

Nella sua riflessione il Papa cita più volte don Puglisi. E declina il suo soprannome “3P” in «preghiera, Parola, Pane». Per il Pontefice, il sacerdote deve essere «uomo del dono e del perdono», «icona vivente di prossimità» capace di portare «concordia dove c’è divisione», di essere «icona vivente di prossimità», di avere una «semplicità genuina», di bandire «ogni forma di clericalismo che è la perversione più difficile da togliere». E ai preti raccomanda: «Mettetevi bene in testa: pastori sì; funzionari no». Inoltre racconta l’incontro con un cardinale che Francesco definisce «severo, conservatore». «Mi diceva: “Se uno viene al Padre, perché io sono lì a nome di Gesù e del Padre Eterno, e dice: Perdonami, perdonami, ho fatto questo, questo, questo…; e io sento che secondo le regole non dovrei perdonare, ma quale padre non dà il perdono al figlio che lo chiede con lacrime e disperazione?».

Non manca un riferimento alla pietà popolare. Il Papa chiede ai sacerdoti di «vigilare attentamente» affinché «non venga strumentalizzata dalla presenza mafiosa». Altrimenti, precisa, «anziché essere mezzo di affettuosa adorazione, diventa veicolo di corrotta ostentazione». E a braccio ammonisce: «Se una Madonna fa l’inchino davanti alla casa di un capomafia… quello non va, non va assolutamente».

IL DIALOGO CON I GIOVANI: NON ABBIATE PAURA DI DENUNCIARE

«Un cristiano che non è solidale non è cristiano». Nel dialogo con i giovani in piazza Politeama a Palermo papa Francesco risponde a una domanda sull'accoglienza. E spiega che la «vocazione» di un credente è quella «di favorire l’incontro mentre il mondo di oggi è un mondo di scontro». Denuncia una «carenza di amore». E ricorda che l’accoglienza è «amore e gioia» e ha bisogno di chi «si sporca le mani». Bergoglio parla in gran parte a braccio dopo i tre quesiti che i ragazzi gli pongono. In mano ha una penna e qualche foglio su cui prende appunti. Davanti ci sono 5mila giovani giunti da tutta la Sicilia. «Abbiamo necessità di uomini e donne vere che denunciano il malaffare e lo sfruttamento», sprona. E con forza rimarca: «Non abbiate paura di denunciare». Parole che si uniscono a quelle dell’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, che nel saluto iniziale incoraggia i ragazzi ad «alzarsi in piedi» e a «strappare» l’isola «dalle mani dei poteri occulti, delle lobby mafiose, delle clientele invadenti, dei politici e degli ecclesiastici infedeli».

Scherza molto il Papa. «Avete il numero di telefono per parlare con il Signore?», chiede. E ammonisce: «Il Signore non si ascolta se si sta seduti in poltrona». Serve essere «in cammino», «in ricerca». «Cercalo nella preghiera, nella relazione, nella comunità», incita. E dice “no” a giovani «pancioni comodi». «Meglio essere don Chisciotte che Sancho Panza», osserva. Da qui l’invito ad «avere grandi sogni in cui trovi tante parole del Signore». Francesco non vuole neppure ragazzi paralizzati dalla «rassegnazione». «Siate costruttori di futuro», esorta. Ma senza essere «gassosi», fra le nuvole, e senza essere «sradicati», ossia privi di radici «nei valori della tua famiglia e del tuo popolo». E, afferma il Papa, le radici «si incontrano nell'ascolto dei vecchi» che aiutano a creare l’«appartenenza» e l’«identità». «Prendi da loro la forza», sottolinea. E alla fine confida: «Scusatemi se sono stato sempre seduto. Ma le caviglie mi fanno tanto male». Più che comprensibile dopo una giornata siciliana davvero intensa.

Sulla strada verso l'aeroporto c'è stato un ultimo fuori programma: papa Francesco ha reso omaggio al giudice Giovanni Falcone alla moglie Francesca Morvillo e ai tre agenti di scorta uccisi nella strage di Capaci, fermandosi alcuni istanti in raccoglimento davanti alla stele che lungo l’autostrada Palermo-Trapani ricorda l’eccidio del 23 maggio 1992. Il Papa è poi risalito in auto proseguendo il viaggio verso l’aeroporto Falcone e Borsellino da cui successivamente è decollato alla volta di Roma.

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