domenica 26 febbraio 2017
Domenica la visita di Francesco nella chiesa di All Saints. Parla il reverendo anglicano Boardman: una gioia incredibile. «Il gesto sancisce 50 anni di amicizia fra le due Chiese»
La chiesa anglicana di All Saints (Ognissanti) a Roma che visiterà papa Francesco (Siciliani)

La chiesa anglicana di All Saints (Ognissanti) a Roma che visiterà papa Francesco (Siciliani)

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Un evento storico? «Lo definirei un normale abbraccio fra sorelle e fratelli cristiani che da cinquanta anni hanno un’ottima amicizia». Con un piacevole accento inglese il reverendo Jonathan Boardman racconta la visita che papa Francesco compirà domenica 26 febbraio nella sua chiesa: quella anglicana di All Saints (Ognissanti) a Roma. Una parrocchia che festeggia il 200° anniversario dalla prima liturgia e che si trova in via del Babuino, a due passi da piazza di Spagna. «Con una gioia incredibile attendiamo il vescovo di Roma», spiega il parroco che alle 16 accoglierà il Pontefice con la reverenda Dana English e assieme al vescovo Robert Innes, responsabile della Chiesa anglicana in Europa, al suo ausiliare David Hamid e all’arcivescovo David Moxon, rappresentante presso la Santa Sede dell’arcivescovo di Canterbury e direttore del Centro anglicano di Roma.


L’incontro sarà scandito dalla preghiera ma non solo. «Celebreremo il Vespro cantato anglicano, seppur in forma abbreviata, che includerà anche la benedizione di un’icona di Cristo Salvatore commissionata all’artista Ian Knowles – afferma il reverendo –. Saranno inoltre rinnovate le promesse battesimali da parte di anglicani e cattolici ma anche dagli amici delle altre confessioni presenti a Roma che parteciperanno alla visita». Poi verranno rivolte al Papa alcune domande. «Dopo il culto – prosegue Boardman – sarà siglato il gemellaggio fra la nostra comunità e la parrocchia cattolica di Ognissanti in via Appia Nuova. Già lavoriamo fianco a fianco a servizio degli ultimi: infatti ogni venerdì portiamo la cena ai senzatetto della stazione Ostiense. Tutto ciò mostra come si possa dare comune testimonianza al Vangelo oltre i nodi ancora da sciogliere».


L’appuntamento del 26 febbraio rientra nelle celebrazioni per il mezzo secolo dall’incontro tra Paolo VI e l’arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey nel 1966 che ha ristabilito il dialogo tra la Chiesa di Roma e quella d’Inghilterra. Un evento preceduto dall’incontro privato di Giovanni XXIII con il primate Geoffrey Fisher nel 1960 e seguito dalla preghiera comune fra Giovanni Paolo II e gli arcivescovi Robert Runcie e George Carey, poi fra papa Benedetto XVI e l’arcivescovo Rowan Williams nella chiesa romana di San Gregorio al Celio da dove papa Gregorio inviò sant’Agostino ad evangelizzare gli anglosassoni. Chiesa che lo scorso 5 ottobre ha visto Bergoglio e il primate della Comunione anglicana Justin Welby celebrare i Vespri e firmare una dichiarazione congiunta. «In questi cinquanta anni – sottolinea Boardman – i Papi e gli arcivescovi di Canterbury si sono visti più volte, ma mai un Pontefice aveva incontrato la comunità anglicana di Roma. Francesco sarà il primo. Bergoglio ha accettato il nostro invito. Si tratta di un’iniziativa che vuole rafforzare ancora di più i rapporti fra le nostre Chiese che già sono stabili, approfonditi, onesti. E dire che lo Stato italiano ha riconosciuto la Chiesa d’Inghilterra soltanto con un decreto del 2015 che giunge dopo quattrocento anni di presenza nella Penisola».


Poi il parroco indica l’amicizia dal basso come via maestra nel dialogo ecumenico. «Anche i gesti di papa Francesco lo dicono in modo chiaro – afferma –. È l’amicizia che ci consente di tradurre nel concreto il comandamento di Gesù a essere uniti. Del resto fra amici è possibile risolvere i problemi». Come quelli che ancora dividono Roma e Canterbury: l’esercizio dell’autorità ecclesiale, l’ordinazione delle donne e le più recenti questioni relative alla sessualità. «Ma l’onestà nel riconoscere che tutto ciò rappresenta un ostacolo è un passo in avanti – osserva il reverendo –. Tuttavia la dichiarazione di Francesco e Welby tende a evidenziare come già oggi si realizzi la comunione fra noi nel Battesimo, nella preghiera, nell’aiuto ai poveri. E in questi ultimi tempi è urgente rispondere ai bisogni dei profughi, degli emarginati, di chi è colpito dalla crisi economica». Dall'incontro fra Paolo VI e Ramsey nel 1966 nacque anche il Centro anglicano di Roma. «Il Centro è la struttura con cui il primate ha espresso il suo desiderio di avere una sorta di ambasciata vicino alla Santa Sede e il suo direttore è il rappresentante ufficiale dell'arcivescovo di Canterbury presso un’altra Chiesa. È un organo della Comunione anglicana, non tanto della Chiesa d’Inghilterra. Certo la nostra comunità collabora con il Centro. Questo dice che il dialogo si può svolgere ad alti livelli, ad esempio attraverso la diplomazia, ma anche e soprattutto dal basso, vivendo l'unica fede nel Signore risorto ogni giorno».


La chiesa di All Saints è sorta in quello che era il «ghetto inglese», precisa il reverendo. In stile neogotico, «oggi non è soltanto un riferimento per gli inglesi perché è frequentata da persone di oltre venti nazionalità che sono in media dalle trecento alle cinquecento», fa sapere il parroco. L’appuntamento di domenica 26 febbraio sarà seguito da quello del 13 marzo quando per la prima volta la Basilica di San Pietro ospiterà la Preghiera corale anglicana della sera. «Di fatto viene riconosciuta la ricchezza anche celebrativa dell’anglicanesimo – conclude Boardman –. Non sempre si ritiene che una Chiesa della Riforma possa esprimere liturgie così intese dal punto di vista spirituale. E invece i nostri riti cantati toccano davvero l’anima».

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