lunedì 21 ottobre 2019
Francesco durante l'omelia della messa per la 93.ma Giornata mondiale missionaria. Il cristiano va con amore verso tutti, perché la missione “non è un peso da subire, ma un dono da offrire”
Francesco ai missionari: i fratelli non vanno selezionati ma abbracciati
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“Monte”, “salire”, “tutti”. Sono queste le tre parole che Papa Francesco ha scelto di dedicare ai missionari di tutto il mondo nella Santa Messa in San Pietro per la loro 93.ma Giornata mondiale. Dalle parole del profeta Isaia al luogo dove Gesù chiede agli apostoli di incontrarsi dopo la resurrezione, il monte è sempre stato il “luogo dei grandi incontri tra Dio e l’uomo”, spiega nell’omelia.

Sul monte siamo chiamati ad avvicinarci a Dio “nel silenzio, nella preghiera, prendendo le distanze dalle chiacchere e dai pettegolezzi che inquinano”, ma anche ad avvicinarci agli altri, essendo il monte il luogo dove inizia la missione e dove si possono vedere le persone da un’altra prospettiva: Dall’alto gli altri si vedono nell’insieme e si scopre che l’armonia della bellezza è data solo dall’insieme. Il monte ci ricorda che i fratelli e le sorelle non vanno selezionati, ma abbracciati, con lo sguardo e soprattutto con la vita. Il monte lega Dio e i fratelli in un unico abbraccio, quello della preghiera. Il monte ci porta in alto, lontano da tante cose materiali che passano; ci invita a riscoprire l’essenziale, ciò che rimane: Dio e i fratelli.

“Non siamo infatti nati per stare a terra, per accontentarci di cose piatte, siamo nati per raggiungere le altezze”, aggiunge il Papa, e per incontrare Dio e i fratelli sul monte è sempre necessario “salire”. Un’azione che “costa fatica, ma è l’unico modo per vedere tutto meglio” e, come in una dura scalata, si è ricompensati dalla vista del panorama migliore. In montagna, poi, non si può salire bene se si è appesantiti, spiega Francesco, e allo stesso modo bisogna alleggerirsi, “bisogna lasciare una vita orizzontale, lottare contro la forza di gravità”. In questo sta il “segreto della missione”: Per partire bisogna lasciare, per annunciare bisogna rinunciare. L’annuncio credibile non è fatto di belle parole, ma di vita buona: una vita di servizio, che sa rinunciare a tante cose materiali che rimpiccioliscono il cuore, rendono indifferenti e chiudono in sé stessi; una vita che si stacca dalle inutilità che ingolfano il cuore e trova tempo per Dio e per gli altri.

Il senso della missione è quindi “salire sul monte a pregare per tutti e scendere dal monte per farsi dono a tutti”. Una parola, “tutti”, che il Signore non si stanca mai di ripetere: Tutti, perché nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua salvezza; tutti, perché il nostro cuore vada oltre le dogane umane, oltre i particolarismi fondati sugli egoismi che non piacciono a Dio. Tutti, perché ciascuno è un tesoro prezioso e il senso della vita è donare agli altri questo tesoro.



Salire e scendere, infatti, sono gli attributi del cristiano, che è “sempre in movimento” e “va verso gli altri”. “Il testimone di Gesù”, spiega ancora il Papa, non è mai, perciò, “in credito di riconoscimento dagli altri, ma in debito di amore verso chi non conosce il Signore” e “va incontro a tutti, non solo ai suoi, nel suo gruppetto”.

Una testimonianza che va vissuta in prima persona, comportandosi da discepoli. Questa è infatti l’istruzione che ci dà il Signore per andare verso tutti. La stessa Chiesa “annuncia bene solo se vive da discepola” e il discepolo “segue ogni giorno il Maestro” e condivide con gli altri la gioia di questa condizione: Non conquistando, obbligando, facendo proseliti, ma testimoniando, mettendosi allo stesso livello, discepoli coi discepoli, offrendo con amore quell’amore che abbiamo ricevuto. Questa è la missione: donare aria pura, di alta quota, a chi vive immerso nell’inquinamento del mondo; portare in terra quella pace che ci riempie di gioia ogni volta che incontriamo Gesù sul monte, nella preghiera; mostrare con la vita e persino a parole che Dio ama tutti e non si stanca mai di nessuno.

Il Signore, conclude poi il Papa, ha infatti una “sorta di ansia per quelli che non sanno ancora di essere figli amati dal Padre, fratelli per i quali ha dato la vita e lo Spirito Santo”. Un’ansia da placare andando con amore verso tutti, perché la missione “non è un peso da subire, ma un dono da offrire”.

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