martedì 28 marzo 2017
L'anziana signora è tornata nell'alloggio alle Case Bianche dove, sabato 25 marzo, il marito ha accolto Francesco. «Lui mi parlava, mi ha benedetto, io continuavo a piangere per la felicità»
Case Bianche: uno striscione di ringraziamento al Papa per la sua visita (Fotogramma)

Case Bianche: uno striscione di ringraziamento al Papa per la sua visita (Fotogramma)

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«È stata una felicità enorme. Mi sentivo battere il cuore forte, tanto che i medici mi dicevano. "Si calmi signora Agogini, si calmi!"... Una parola! Come fai? Ho riconosciuto subito la voce di papa Francesco, mi parlava della malattia, mi parlava di Gesù, e io piangevo, avevo tutta una rivoluzione dentro... Poi mi ha detto: "le do la benedizione". Ma io continuavo a piangere, perché non me l’aspettavo...». È tornata da poche ore, al civico 32 delle Case Bianche di via Salomone, la signora Adele Agogini. È lei che sabato mattina, ricoverata in ospedale, ha ricevuto la telefonata del Papa in visita al suo alloggio, dove l’ha accolto il marito Lucio Oneta.

Giorgio: «Uniti e solidali, perché non torni tutto come prima»

Lunedì pomeriggio. Sono passati due giorni dall’incontro del «popolo» delle Case Bianche e del quartiere Forlanini con il Pontefice, prima tappa della sua visita a Milano, iniziata alla periferia est della città. «E il timore di molti è che tutto torni come prima», testimonia Giorgio Sarto, il coordinatore dei Servizi di prossimità dell’Unità pastorale Forlanini che hanno la loro sede, con lo «Spazio anziani Salomone», al pian terreno delle Case Bianche. «Poco fa, qui fuori – prosegue Giorgio – un residente ha detto ad un altro, alzando la voce perché sentissi anch’io: "Ora che il Papa se n’è andato, tutto sarà di nuovo come prima. A cosa è servito?". Ma l’entusiasmo di sabato non era un sentimento effimero. Italiani, stranieri, rom, giovani, anziani: la gente delle Case Bianche l’ho vista tutta riunita assieme, ad ascoltare il Papa, e l’ho vista felice. Francesco ci lascia un invito a coltivare l’unità e la solidarietà fra di noi. In questo modo, anche le nostre rivendicazioni verso le istituzioni saranno più forti e credibili», tira le somme Giorgio.

Adele: «L'ho riconosciuto subito, era la voce del Papa»

È con lui che saliamo da Lucio e Adele, 83 anni a giugno lui, 81 lei. «Adele è appena rientrata a casa dall’ospedale, è a letto, in "ossigenoterapia". Voglio salutarli e vedere cosa fare per l’assistenza, le visite, le incombenze della salute e della quotidianità», spiega Giorgio. L’accoglienza è festosa. E la donna lieta di raccontare. «Non era una cosa programmata, l’ho saputo sabato mattina da mia figlia. Quando è venuta da me, in ospedale, le ho chiesto: "Come sta il papà?". E lei: "Bene, anzi meglio di te, perché viene il Papa". "Lo so che viene il Papa", le ho detto. "Sì, ma in casa tua!". E ho cominciato a sentirmi tutta una rivoluzione dentro... Mia figlia mi ha lasciato il telefonino, e per fortuna che le infermiere mi hanno aiutata a farlo funzionare. La voce del Papa l’ho riconosciuta subito, noi seguiamo sempre l’udienza del mercoledì e le sue celebrazioni. Le infermiere hanno capito che sarebbe venuto a trovarmi in ospedale, hanno fatto festa e si sono messe a mettere tutto in ordine! Desideravo proprio incontrarlo, gli anni passano, per lui e per noi... Che gioia! Ma sa che le dico? Io in casa non sono mai sola – sussurra Adele, sorridente e serena –. Sento sempre la presenza del Signore. Che mi aiuta e protegge, prima che combini qualche guaio, perché sono un po’ pazzerella...». Da dove nasce tutto questo, lo spiega bene e con semplicità Lucio, al fianco della sposa, nella camera affacciata sul lungo rettilineo di via Salomone, in faccia alla chiesa di San Galdino: «Sono nove mesi che tutte le sere diciamo insieme il Rosario, seguendo la diretta di TV2000 da Lourdes». Preghiera. In famiglia. In comunione con la Chiesa. A intrecciarsi con i gesti della vita quotidiana. Del prendersi cura l'uno dell'altra, nell'abbraccio dei figli, di una famiglia più ampia, di una comunità. Anche queste sono le Case Bianche: quelle che non fanno notizia, mentre la fanno, invece, le Case Bianche del degrado edilizio, del disagio sociale, dell'abusivismo, dell'illegalità, dei ritardi e dell'indifferenza delle istituzioni. Dove fra quelli che patiscono di più, ci sono proprio gli anziani. Soprattutto quelli che nei monolocali dell'ultimo piano, infiltrati dall'umidità, vivono soli. E malati. O sono costretti a penose promiscuità con le famiglie dei figli.

Il video dei giovani e l'«Agorà» della coesione sociale

Con Giorgio torniamo allo Spazio anziani. «Prima di salire dalla signora Adele è venuto a trovarci uno studente della Cattolica. Con alcuni suoi compagni vuole realizzare un video per un concorso sul tema della solidarietà. E al centro del loro lavoro ci sarà il racconto delle varie attività svolte dal nostro Servizio di prossimità», riprende il coordinatore. Mentre sull'agenda c'è da segnare una data: il 7 aprile prossimo, quando con un «aperitivo d'inaugurazione» al 32 di via Salomone verrà presentato a tutti il Progetto Agorà, programma triennale di promozione della coesione sociale portato avanti – in risposta ad un bando del Comune di Milano – dalle associazioni La Strada e La Nostra Comunità, assieme al Centro Ambrosiano di Solidarietà (Ceas) e alle parrocchie di San Galdino (nel cui territorio stanno le Case Bianche) e di San Nicolao della Flue, dunque con la partecipazione dei Servizi di prossimità della Caritas Forlanini. La sfida: a partire dai problemi e dalle "risorse" del territorio, coinvolgendo e responsabilizzando i residenti delle Case Bianche, migliorare la qualità della vita e delle relazioni, spezzare le catene della solitudine (che colpisce soprattutto gli anziani i malati), mettere in rete cittadini, associazioni, comitati, accrescere grado e percezione della sicurezza, promuovere cittadinanza attiva per valorizzare beni e spazi comuni. Il Progetto Agorà raccoglie l'eredità del Progetto Con-Tatto Salomone, attivo nel quartiere fra il 2013 e il 2016, e, fra l'altro, riaprirà le porte di uno spazio per iniziative comuni al pian terreno delle Case Bianche. C'è, dunque, una città che con la visita di papa Francesco sembra aver aperto gli occhi sulle Case Bianche. E c'è una città che non li ha mai chiusi. E ha capito che la prima ricchezza di questo quartiere è la sua gente. Con le sue fragilità, le sue ferite, la sua dignità, la sua sete di riscatto, la sua passione per l'incontro.

Il parroco: il Papa sa tirare fuori il meglio dal quartiere e da ciascuno di noi

Nel grande piazzale delle Case Bianche sono tornate le auto, i cassonetti, i sacchi della spazzatura. Uno striscione con un grande «Grazie di essere qui con noi» e l'immagine del Papa, sorridente, che saluta, sventola ancora dal fianco del mastodonte Aler dove in 477 alloggi vivono più di mille persone. Alcune donne, passando fra il Parco Galli e il piazzale dove si è svolto l'incontro con Francesco, si fermano per una preghiera davanti all’edicola della Madonna di Lourdes. Anche don Augusto Bonora, il parroco di San Galdino, lunedì ha finalmente trovato un po’ di tempo per pregare con calma. «Ci voleva, dopo tutto il lavoro organizzativo e le emozioni dell’incontro. Ripartire da Dio, s’intitolava una lettera pastorale del cardinal Martini. Ecco: ora dobbiamo stare alla presenza di Dio, perché ci aiuti a capire il lascito più profondo di questa visita. Sa qual è il gesto che forse mi ha colpito di più? Il pane di Dori, la donna che da anni assiste il marito malato. Lei non ha tenuto tutto per sé il dono della visita di Francesco a casa sua, ma lo ha voluto condividere con tutti – spiega il parroco – preparando la sera prima i panini che ha fatto benedire al Papa per darli a tutti gli altri ammalati. Ecco: Francesco non è venuto come una persona che giudica o che mette l’accento sulle negatività, ma come uno che sa tirare fuori il meglio, tutto il potenziale di bene, presente nel cuore delle persone di questo quartiere. Com’è accaduto con Dori e il suo straordinario gesto di generosità e condivisione. Ecco in cosa consiste la grandezza della sua visita fra noi. Il Papa ha fatto vedere che c'è un bene, un meglio, che può uscire, e che anche la politica e le istituzioni, nella loro vita ordinaria, dovrebbero saper far emergere».

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