venerdì 7 maggio 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore,in occasione del 25 aprile, il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha definito tale data non soltanto festa della «Liberazione», ma anche festa della «Riunificazione». Giusto. Ha detto bene. Per la medesima circostanza il capo del Governo Silvio Berlusconi, a proposito della riforma della seconda parte della Costituzione, tra l’altro ha dettto che quando fu redatta e approvata si trattò di «un compromesso», il «migliore allora possibile» (sono tutte parole sue). Ora si parla di riforma e riforme condivise... Mi è difficile capire la differenza che c’è – se c’è – tra compromesso-consociativismo (tanto criticato all’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica) e condivisione. Mi pare abbiano lo stesso significato e che puntino a raggiungere il medesimo risultato, un’identica meta. Che le pare? La saluto distintamente, la ringrazio e le auguro sempre ogni bene.

Nunzio Sfregola, Cerignola (Fg)

Le dirò subito, caro signor Sfregola, una cosa che magari la farà sobbalzare o magari no. Per me l’arte del compromesso è una cosa seria, serissima. E la disponibilità a compromettersi è una capacità preziosa. Che può diventare un’autentica virtù civile. A patto che venga esercitata seguendo la bussola di valori alti e non di bassi interessi, cercando il bene comune e non un tornaconto personale. Insomma: costruire un compromesso è un cammino in salita non in discesa, che comporta una vera accettazione della fatica dello stare insieme, dell’impegno a dar senso alla vocazione sociale della persona. È una sfida che richiede una duplice resistenza: resistenza alle tentazioni fondamentaliste e resistenza alle sirene relativiste. Perché è vero che il meglio è nemico del bene, ma è persino più vero che il male non può e non deve essere spacciato per bene. Questa premessa è già una risposta alla sua domanda. Ma vorrei essere ancora più diretto. Nella sostanza ha infatti ragione lei, gentile lettore: la retorica dell’anti-consociativismo ha prodotto gravi danni, finendo purtroppo, nei fatti, per disperdere tanta parte dell’eredità dei padri costituenti della Repubblica. Soprattutto è accaduto che una grande storia di comprensione e di rispetto reciproci tra (fieri) avversari sia stata ridotta alla caricatura di sé, a puro motore di vicende di malagestione e di corruzione. Risultato: i casi di malagestione e di corruzione non sono affatto terminati (e le cronache, negli ultimi tempi, ce ne hanno datto triste e ampia e prova), mentre sembra che ormai si sia persa anche la memoria della disponibilità a «fare insieme», quando questo è necessario e possibile, nell’interesse superiore del Paese. Io continuo a credere che bisogna puntare, invece, al risultato opposto: osteggiare con forza e continuità la malapolitica e la cattiva amministrazione pubblica e tornare a saper condividere scelte strategiche per il futuro del Paese e per l’equilibrio delle sue Istituzioni fondamentali. Credo, perciò, che serva un bel salto di qualità in una politica da troppo tempo consegnata alle logiche della quantità (che aiuta a stare al potere, ma non a governare davvero). Anche per questo, mi pare, viene auspicato un rinnovato impegno dei cattolici sulla scena pubblica... Occorrono motivazioni alte e idee chiare, per «salire a compromessi».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI