La scoperta che l’altro siamo noi
sabato 29 febbraio 2020

Questi giorni in cui l’essere più piccolo dell’Universo – un virus per l’appunto – domina il nostro pianeta in ogni angolo dello spazio e del tempo, offrono lo spunto per considerazioni di diverso genere. Tra il consueto propagarsi, anch’esso virale, delle fake news e la sparizione della fiducia nell’esperto, rimpiazzata dalle immancabili critiche e granitiche certezze che ognuno ha su quello che si sarebbe dovuto fare e non si è fatto e viceversa – che ricordano i discorsi da bar del lunedì mattina, se non fosse che ora al bar non ci va più nessuno – tra tutte ve n’è una che ha un che di nuovo, ancorché di antico.

Ora che il piccolo virus, ignaro o incurante di confini regolati da trattati, demarcati da limiti geografici e persino da muri, sprezzante di bellezze artistiche, realtà produttive, feste e tradizioni, rapporti sociali fa quello che un virus fa per sua natura, girare il mondo intero come il vento, ora che, a furia di invocarlo come obiettivo da parte di improvvida propaganda partitica, siamo finalmente primi in Europa, ci accorgiamo che vacillano certezze che fino a ieri sembravano incrollabili. Un dato di fatto così radicato che neppure ci ha mai sfiorato l’idea che non potesse essere che così: ci siamo noi e ci sono gli altri. L’altro è tutto ciò che non siamo noi. L’altro è chi viene da fuori.

L’altro è chi, per qualunque motivo, è diverso: chi prega un Dio differente. Chi non la pensa come noi. Chi non ha il nostro stesso orientamento sessuale. È davvero forte la convinzione baricentrica del Noi: basti pensare alla dicotomia tra 'comunitario' ed 'extra- comunitario', tra 'residente' e 'migrante', tra 'casa nostra' e 'casa loro', in cui nozioni relative vengono indebitamente assolutizzate, come se ciascuno di noi non fosse extra-comunitario, migrante e lontano da casa a seconda delle persone e dei luoghi con cui si rapporta e in cui si trova a vivere. Dietro a queste parole si annida una xenofobia multiforme, che assume di volta in volta sembianze diverse: etnica, religiosa, culturale, economica, geografica e così via.

Questa xenofobia è l’espressione di un’attitudine che, se il termine non si prestasse a fraintendimenti, potremmo chiamare 'etero-fobia', paura di tutto ciò che è altro e diverso. Per carità, la paura dell’altro, di ciò che è diverso, ha le sue ragioni, che affondano radici nella notte dei tempi. Se la biologia non ci avesse dotato della capacità di distinguere prede da predatori, consimili da estranei, verosimilmente non saremmo qui oggi. Ma quelle della biologia sono ragioni che la ragione oggi conosce e può comprendere. Invece, in molte parti del mondo, compreso il nostro Paese, c’è chi fa leva proprio su questi meccanismi ancestrali per rinforzare la paura e la discriminazione.

È bastato un piccolo virus a far dissolvere la nostra granitica certezza come neve al sole. L’altro ora siamo noi. Siamo noi i migranti che nessuno vuole, siamo noi che veniamo respinti alle frontiere, scansati negli aeroporti, rifiutati nei resort. Un che di nuovo, ma anche di antico: ci erano già passati i nostri nonni e bisnonni che arrivavano, spinti da disperazione e speranza, ad Ellis Island tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900. Nella sua sfericità, il nostro Pianeta sembra volerci ricordare che ogni punto è equidistante da un immaginario centro di riferimento. Questi giorni convulsi passeranno. Ci lasceranno lutti e perdite. E un insegnamento, con le indimenticabili parole di Camilleri: che l’altro, per l’Altro, siamo Noi.

Psichiatra, direttore, Scuola Imt Alti Studi Lucca

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