giovedì 25 novembre 2010
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Luca Cordero di Montezemolo ha annunciato che sente la responsabilità di «fare qualcosa per il Paese», il che sembrerebbe indicare una sua volontà di entrare nell’agone politico. L’intenzione dichiarata è quella di «fare squadra», slogan suggestivo e non inedito (e, infatti, già impiegato anche durante la sua gestione di Confindustria). Ma è ormai chiaro a tutti che l’esigenza di coesione sociale è molto sentita nel Paese, e che se ne vedono i sintomi in vari settori.Nonostante l’azione di settori e gruppi che puntano a esasperare le tensioni, nelle università come a Napoli, il segno profondo del modo col quale la maggioranza degli italiani affronta le crisi e le difficoltà è quello della ricerca paziente e testarda delle intese possibili. Non si capirebbe, altrimenti, come sia stato possibile gestire situazioni seriamente critiche in tante unità produttive, arrivando a definire forme nuove di contrattazione che agevolano gli investimenti, anche in situazioni tradizionalmente assai delicate (come quella di Pomiglano d’Arco). Nonostante l’azione del "fronte del no" incentrato sulla Fiom-Cgil, sono stati stipulati contratti e accordi, quasi sempre unitari, in molte categorie e in centinaia di situazioni aziendali. Il senso di responsabilità delle parti sociali è un modo concreto ed esemplare di fare squadra.Se ora anche Montezemolo tenterà di dare un suo contributo "politico" a questo processo, la cosa sarà certamente utile perché aiuterà a rafforzarlo. È proprio il mondo politico – attraversato da fenomeni di disgregazione piuttosto evidenti – che più spesso oggi appare indifferente e talora ostentamente lontano da un giusto clima di responsabilità collettiva. Anche in questo campo, tuttavia, si deve considerare la crisi per quel che soprattutto è, una fase di giudizio e di passaggio.La nuova dialettica che si è aperta nell’ambito del centrodestra e dell’area centrista e moderata è irta di controversie, ma non bisogna trascurare il fatto che seppure attraverso polemiche (e più di un’asprezza verbale) pare puntare a nuove forme di intesa o, per usare un termine caro a Pier Ferdinando Casini, a un «armistizio» che non è una pace irenica, ma soprattutto non è guerra ed è, comunque, la premessa per la ricostruzione di equilibri perduti.Anche a sinistra si tenta di superare antiche e recenti rotture, e anche qui, naturalmente, attraverso fasi alterne. Forse la scelta di Pierluigi Bersani, di stipulare per prima cosa un patto con la Sel di Nichi Vendola e con l’Idv di Antonio di Pietro per rivolgersi solo poi ai centristi, che ha ricevuto un ovvio rifiuto da questi ultimi, è stata controproducente e ha dato nuova evidenza alla difficoltà interna del Partito democratico, che è paragonabile a quella che ha investito l’altro grande partito-contenitore, il Popolo della libertà.Tuttavia non si può non notare che anche con queste manovre si cerca di «fare squadra», da una parte come dall’altra. Il problema, naturalmente, è di come riuscirci, di come realizzare nelle nuove condizioni politiche un’offerta coerente e coinvolgente, che rifletta le esigenze di coesione che di fatto animano la società.È presto per valutare se l’iniziativa di Montezemolo, di cui ancora non sono stati precisati i caratteri concreti, sarà un utile ingrediente in questa fase confusa, ma non priva di prospettive ricostruttive. C’è da augurarsi che anche in lui prevalga lo spirito costruttivo e ricostruttivo su quello polemico e caustico, che pure non gli manca.
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