mercoledì 13 giugno 2018
Perché tanti ragazzi vogliono andarsene all'estero: rispetto ai coetanei gli italiani tra i 18 e i 32 anni sono più convinti che «andare all'estero è necessario per trovare migliori opportunità»
Giovani che partono ci vuole una speranza
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Dal momento dell’unità fino agli anni Sessanta del ventesimo secolo l’Italia è stato un Paese di fortissima emigrazione, che veniva abbandonato provvisoriamente o definitivamente dai nostri concittadini in cerca di migliori opportunità lavorative all’estero. A partire dagli anni Settanta il segno del cosiddetto saldo migratorio si è invertito e il flusso di emigranti dall’Italia si è ridotto notevolmente. Con l’inizio degli anni Ottanta, e con ritmo sempre crescente fino ai giorni nostri, abbiamo così sperimentato l’altro volto della migrazione, caratterizzata da un consistente aumento dei flussi migratori in ingresso. Ci siamo, così, lentamente trasformati in una società multietnica, caratterizzata anche da una pluralità di confessioni religiose. Spesso gli immigrati sono guardati con diffidenza, perché sospettati di sottrarre risorse agli italiani in un contesto economico ormai endemicamente stagnante. Altre volte gli immigrati sono visti come una risorsa insostituibile, perché svolgono mansioni di profilo mediamente più basso, che gli autoctoni stentano ad accettare.

Il contesto entro cui ci muoviamo è comunque quello di un Paese la cui priorità dell’agenda politica sembra essere il controllo dei flussi in entrata. Ciò è indubbiamente vero se si osserva il segno del saldo migratorio: l’Italia è un Paese dove prevalentemente si viene ad abitare, complice anche una posizione geografica di frontiera, e, in misura minore, un Paese dal quale si parte: secondo dati Istat, nel 2017 si sono registrati 337mila ingressi contro 153mila uscite, per un saldo (dato dal numero di immigrati meno quello degli emigrati) di 184mila unità. Seppur quantitativamente inferiore, il flusso in uscita è senza dubbio non trascurabile: se quindi è vero che sono meno i connazionali che lasciano l’Italia rispetto agli stranieri che arrivano, occorre interrogarsi sul profilo di chi se ne va e sulle ragioni che portano a prendere in considerazione la possibilità di emigrare. Per quello che riguarda l’identikit dell’emigrante è doveroso ricordare che la popolazione migrante ha un profilo per età molto giovane. Tra di essi circa la metà ha un’età compresa tra i 15 e i 39 anni (secondo il report Istat dal titolo Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente del 6 dicembre 2016). L’emigrazione dall’Italia, così come l’immigrazione in Italia, è un fenomeno che riguarda essenzialmente i giovani, che sono notoriamente la parte più dinamica e, almeno potenzialmente, produttiva della popolazione.

In questo contesto è necessario ricordare che un’esperienza all’estero per un periodo limitato, anche non necessariamente di brevissima durata, non rappresenta di per se stessa un fenomeno negativo. Se un giovane, dopo un’esperienza di studio e di lavoro, è messo nelle condizioni di potere rientrare porta con sé un patrimonio di conoscenze (linguistiche, culturali e professionali) che arricchiscono il nostro Paese. Il problema nasce quando emigrare significa compiere un viaggio senza la possibilità di un biglietto di ritorno e quando, così, gli emigranti non trovano condizioni adeguate per potere rientrare. Al fine di valutare il fenomeno migratorio è quindi importante tracciarne le cause, ad esempio chiedendo ai giovani residenti come considerano l’eventualità di migrare, anche in relazione alle opportunità date del Paese di origine. In questo senso risulta utile mostrare alcune evidenze tratte da uno studio dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo condotto su un campione che coinvolge i cinque più popolosi Paesi europei – Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna – e coordinato dal professor Alessandro Rosina. Il campione presenta 1.000 intervistati per ogni Paese dell’elenco e i cinque campioni sono ciascuno rappresentativo della popolazione di giovani di età fra i 18 e i 32 anni ivi residenti. Secondo i dati, il 92,4% degli intervistati italiani è abbastanza o molto convinto che «andare all’estero è soprattutto una necessità per trovare migliori opportunità di vita e lavoro», contro il 46,9% dei giovani francesi e il solo 25,7% dei coetanei tedeschi. Risulta anche più diffusa l’opinione che le opportunità per i giovani nel proprio Paese di origine siano peggiori rispetto alla media degli altri Paesi sviluppati: ne sono convinti il 75,6% degli italiani contro il 20% dei francesi e l’8,6% dei tedeschi.

La scelta di migrare è quindi, per i ragazzi italiani, guidata sì dalla percezione che la mobilità sia una opportunità per perfezionarsi e progredire nella costruzione del proprio futuro ma ancor più sembra essere la mancanza di opportunità il principale fattore di spinta. In questo senso i dati illustrati vanno certamente nella direzione del senso comune, che vede l’Italia come un Paese che arranca rispetto agli altri Stati europei, soprattutto per quello che riguarda le opportunità nel mercato del lavoro dei giovani. Ma ciò che rileva con forza è la proporzione della differenza del sistema delle opinioni degli italiani rispetto a quello dei giovani delle nazioni che consideriamo abitualmente come realtà confrontabili con la nostra. Secondo un’ulteriore rilevazione, condotta a fine 2017 dall’Osservatorio Giovani, su un campione rappresentativo di 3.034 giovani italiani, emerge come il 41,9% degli intervistati si dichiari disponibile ad andarsene all’estero in modo stabile per migliorare le proprie condizioni lavorative e di vita. Questo dato recente, nonostante i segnali timidi di ripresa relativi all’aumento dell’occupazione giovanile e alla crescita economica del Paese, mostra come l’Italia sia ancora un Paese a forte rischio emigrazione. Questo rischio interessa in modo particolare alcune categorie sociali: gli uomini si dichiarano più esposti al rischio di emigrazione rispetto alle donne, così come chi è residente al Sud e chi ha un titolo di studio più elevato (un master o un dottorato), anche se una dinamica sfavorevole si osserva ultimamente anche per chi è in possesso di un titolo di studio inferiore al diploma di scuola secondaria superiore.

I dati mostrano inoltre come siano più esposti al rischio di emigrare coloro i quali considerano come negativa la congiuntura economica italiana e che pensano anche che ci siano poche chance che tale condizione evolva in senso favorevole nel futuro prossimo. È quindi proprio questa la sfida che occorre raccogliere: ricondurre le aspettative dei giovani su posizioni meno allarmate, fornendo garanzie credibili e cambiando le prospettive future per le nuove generazioni. Sono, infatti, le aspettative, oltre che la situazione corrente, che nel comportamento umano svolgono un ruolo guida nell’orientare le decisioni. Lavorare sulla credibilità delle risposte è la principale cosa da fare per concederci la possibilità di trattenere i giovani residenti e per restituire la possibilità di tornare a chi se ne è andato.


*Docente di Demografia e Statistica sociale Facoltà di Economia - Università Cattolica tra i curatori del Rapporto Giovani-Istituto Toniolo

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