giovedì 8 settembre 2011
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Sembra finita. Sembra che Rebecca e Lucia abbiano perduto la loro battaglia. Erano nate a fine giugno, unite per il torace e l’addome e con un cuore solo, il fegato fuso e anche l’intestino parzialmente fuso: l’altra sera se ne sono andate. Sono morte. Qualcuno aveva criticato i loro genitori per aver portato a termine la gravidanza scegliendo di farle venire al mondo. Qualcun altro si era subito arreso alla (presunta) ineluttabilità del sacrificio imminente di una per salvare l’altra. E in molti avevano comunque offerto le loro sentenze, spesso neppure conoscendo la reale situazione clinica. Però chi contava davvero – le due piccole, mamma e papà, donne e uomini dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna a cominciare da Mario Lima, il primario di Chirurgia pediatrica – ha scelto invece di affrontare una durissima, buona battaglia. Certo, sarebbe stato più semplice tagliar corto e abortirle prima oppure lasciarle morire appena dopo. Semplice ed anche semplicemente giustificabile adoperando le solite frasi («Che vita potranno mai avere», «dove potrà mai essere la loro dignità», «come si potrà mai scegliere quale delle due dovrà vivere e quale morire», «i genitori hanno dimostrato egoismo facendole nascere»), tanto più che anche un certo tipo d’"istinto" magari avrebbe legittimato la decisione, salvando almeno le apparenze. Mamma e papà hanno in realtà tagliato ugualmente corto, ma muovendo sulla via opposta, seguendo l’Istinto, cioè l’amore. «Sono le mie figlie, per me non sono le "gemelle siamesi" come vengono chiamate», aveva fatto sapere lei (che fa parte dell’Associazione Papa Giovanni XXIII). E lui (che è un non credente) aveva aggiunto: «Quando le abbiamo viste nell’ecografia erano già le nostre figlie. Piccole così e dentro la pancia o alte un metro, per noi non cambia nulla: sono esseri umani, sono bambine, a noi basta. Uccidere due bambine così piccole o una persona alta un metro e ottanta è la stessa cosa. Non c’è mai stato nulla da scegliere, abbiamo chiesto solo qualche consulenza per capire quali sarebbero stati i passi successivi. Se ci saranno decisioni difficili da prendere, lo faremo insieme ai medici, ci fidiamo del loro giudizio». Rebecca e Lucia dal canto loro sono state davvero speciali e forti: reagendo magnificamente alle prime due operazioni cui sono state sottoposte, crescendo pian piano e prendendo peso, lottando. Nessuno si faceva troppe illusioni, ma che le piccole stessero combattendo rimaneva un fatto. E ce n’era un altro, quasi incredibile e decisamente sorprendente per la stessa équipe medica che lo registrava: se una andava in maggiore sofferenza fisica, l’altra si faceva fisiologicamente carico di entrambe, raddoppiando i suoi "sforzi" per compensare le momentanee difficoltà della sorella. Fino all’altra sera, quando entrambe non ce l’hanno più fatta. Quando tutto sembra dunque essersi chiuso, con la beffarda vittoria della morte. Con il dolore di una famiglia e di un intero ospedale. Eppure chi ha finito realmente per perdere? Rebecca e Lucia, tanto fiere da non arrendersi mai fino alla fine? Mamma e papà e i medici e gli infermieri, che le hanno amate e sono rimasti al loro fianco in ogni modo e momento? E che, semplicemente, avevano scelto di non negare loro la possibilità di vivere e di lottare per farlo? S’è davvero chiuso tutto l’altra sera oppure le vite di Rebecca e Lucia "sono state" e in qualche misterioso modo ancora "sono" e "saranno"? Una vita (con la sua dignità) è tale in relazione alla... durata? E infine: queste due indomite piccoline non hanno lasciato un segno profondo in centinaia, se non migliaia, di persone? Insegnando molto a chiunque voglia imparare? Chi, allora, ha perduto veramente?
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