giovedì 24 novembre 2011
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Caro direttore, per una vita sono stato istintivamente contro i comunisti e quando ho sentito dire una cosa giusta (per me) dal presidente Napolitano, ho pensato, con la malizia dell’età, che fosse facile, sedendo sulla prima poltrona del Paese. Ma con poche delusioni (decreto per salvare Eluana, per esempio), ho dovuto ricredermi. E, quando il Tonino nazionale l’offendeva un giorno sì e un altro pure, mi chiedevo dove fosse la magistratura. In quest’ultimo anno ho apprezzato moltissimo, con un massimo quando ha trovato il modo (fulmineo) di risolvere il problema che ci aveva portato sull’orlo dell’abisso. Ma oggi è stata una doccia fredda quando ho sentito del discorso sulla cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia: «Negarla è un’autentica follia, un’assurdità». O bella: non m’ero ancora accorto di essere un folle! Certo, si può sbagliare per una vita, un secolo, un millennio ed è giusto correggere l’errore trasmesso di generazione in generazione, ma pensiamoci bene. Da qui a Natale (come vorrebbe qualche ben pensante) passa un mese, solo un mese, cioè un attimo: con tanti problemi veri e importanti, vogliamo abbattere un sistema millenario solo in un mese? Pensiamoci, ma seriamente, non ubriacati da ideologie o, peggio, pensando alle elezioni prossime venture, come usano i politicanti nostrani e una intellighentia religiosamente autoreferenziale. Oltretutto sono solo due sistemi, ambedue buoni, ch’io sappia. E non c’è da correggere nulla, solo di passare dall’uno all’altro: o jus sanguinis o jus soli.
Mario Grosso, Gallarate (Va)
 
Caro direttore, condivido pienamente l’auspicio del presidente della Repubblica affinché i bimbi figli di stranieri nati in Italia abbiano la cittadinanza italiana. Ma ancora più pressante è il grido silenzioso dei cinque milioni di bimbi ai quali è stato negato addirittura di nascere grazie alla iniqua legge 194 (così la definirono i vescovi all’indomani della sua promulgazione). Noi cattolici siamo prudenti e peritosi: non è il momento di parlare di queste cose, c’è la crisi. Ma altri non ha scrupolo a porre sul tappeto altri (sia pur giusti) problemi.
Vincenzo Placella, Napoli
 
Caro direttore, noto con grande piacere che il presidente Napolitano è intervenuto sul tema della cittadinanza ai figli nati in Italia dagli stranieri che lavorano qui. Ho sempre sostenuto che i figli di quanti giungono da noi debbano essere considerati italiani a tutti gli effetti: per fortuna ora la voce giunge dalla massima autorità dello Stato! Penso inoltre che sia doveroso per le istituzioni rivedere le norme sulla cittadinanza. Molti amici stranieri mi hanno recentemente riferito che per loro poter votare sarebbe il miglior modo di dire un bel “grazie” all’Italia. Altra cosa su cui bisogna riflettere è il riconoscimento dei titoli di studio e universitari: come sappiamo, il nostro Paese non riconosce i titoli di molti Stati. La conseguenza di ciò è che molti lavoratori stranieri, pur avendo titoli elevati, devono comunque adattarsi a lavori umili che non corrispondono alle tante fatiche fatte. Potrei citare il caso di una persona filippina laureata nel suo Paese in Economia e Commercio che però in Italia si deve accontentare di fare la domestica. Spero quindi che vengano finalmente riconosciuti a tutti gli stranieri i loro diritti.
Giorgio, Genova
 
Caro direttore, penso che il presidente della Repubblica parlando di “follia” riguardo a chi non la pensa come lui in materia di cittadinanza agli immigrati nati su suolo italico abbia veramente esagerato. Non siamo in una democrazia presidenziale, e l’immigrazione è un tema estremamente complesso e delicato sul quale non è saggio farsi guidare dalle emozioni “politicamente corrette”. La solidarietà è un conto (e ci sono mezzi più efficaci per metterla in campo), l’ingenuità tutt’altra cosa. Non ci vuole molto a capire che se una riforma del genere fosse approvata, l’Italia diventerebbe il rifugio di una folta schiera di disperati con mogli incinte al seguito (magari più d’una per lo stesso marito), tutti speranzosi che ottenendo la cittadinanza per il proprio neonato, nessuno potrebbe più allontanare dall’Italia i suoi genitori, che quindi dovrebbero essere forniti di permesso di soggiorno. È anche prevedibile che avremmo problemi da parte dell’Unione Europea, o quanto meno di molti Paesi membri. Basta ricordare cosa è successo per poche migliaia di profughi tunisini ansiosi di raggiungere Francia e Belgio: sospensione della libera circolazione delle persone. Mi chiedo come i nostri politici possano essere così balzani da partorire certe idee... ma l’emergenza dell’economia e la crisi finanziaria che fine hanno fatto? Comincio a sentire puzza di bruciato...
Mauro Z.
Sull’immigrazione e sul modo di governarla secondo chiare e umane logiche – logiche, non pregiudizi di diversa natura – ci sono opinioni diverse, anche molto diverse. Le lettere che pubblico qui accanto lo dimostrano con toni civili e utili. Vorrei che il dibattito politico fosse altrettanto serio. Personalmente, condivido l’approccio del professor Placella. I concetti di “accoglienza”, “integrazione” e di riconoscimento dei piccoli e deboli sono esigenti: o si lavora per accoglierli tutti interi, per accogliere l’insopprimibile dignità di ogni vita umana, o la nostra umanità è fatta comunque a pezzi. Per preparare davvero il futuro ci è chiesto, quasi imposto, e proprio dal tempo di crisi e di confusione che viviamo, di mantenere e recuperare questa essenziale e vitale consapevolezza che può e deve accomunare chi crede e chi non crede: o l’accoglienza è tutta intera o non è.
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