Una preghiera imparata a scuola sta spaccando il Regno Unito
La Corte Suprema britannica ha chiarito che l’insegnamento a scuola, in Irlanda del nord, di inni e nozioni cristiane è «illegale» perché non «critico e pluralistico». All’origine della sentenza un contenzioso intentato dal papà di una bambina di Belfast

L’educazione religiosa è «indottrinamento». È il senso, in estrema sintesi, di un pronunciamento della Corte Suprema britannica che ha dichiarato «illegale» l’insegnamento, a scuola, di inni, preghiere e nozioni cristiane perché contrario alla Convenzione europea per i diritti per l’uomo.
Il caso all’origine della sentenza finita nel Regno Unito al centro di un acceso dibattito riguarda i genitori di una bambina nordirlandese – il cui nome non può essere rivelato per motivi legali – che, tra il 2017 e il 2021, frequentava una scuola elementare statale di Belfast di ispirazione cristiana. Non cattolica né protestante, visti i trascorsi di pesantissimi scontri e tensioni tra queste due comunità nella regione, ma cristiana. La piccola, in classe, aveva imparato a recitare una preghiera prima dei pasti che, ripetuta a a casa, ha messo in agitazione i genitori. La famiglia non voleva che la figlia crescesse con l’idea che il cristianesimo è una «verità assoluta» e che doveva essere educata, semplicemente, a essere «premurosa, etica e rispettosa verso tutti». Al reclamo presentato dal padre, la presidenza aveva risposto che gli insegnamenti impartiti erano «basati sulla Bibbia» e in linea con la legge dell’Irlanda del Nord.
Per la famiglia, invece, l’educazione religiosa e il culto collettivo erano contrarie agli articoli 2 e 9 della Convenzione europea per i dei diritti dell’uomo secondo cui i genitori devono poter assicurare un’educazione ai propri figli «in conformità con le proprie convinzioni religiose e filosofiche». Il botta e risposta è finito in tribunale trascinando in aula anche il ministero all’Educazione. Nel 2022, l’Alta Corte ha dato ragione ai genitori convinti, tra l’altro, che chiedere l’astensione della bambina dalle pratiche religiose contemplato dai regolamenti avrebbe esposto la piccola a il rischio di stigmatizzata, esclusa e derisa dai compagni perché «non cristiana». L’anno scorso, la Corte d’appello ha parzialmente confermato l’approccio del tribunale di prima istanza e rimandato ai magistrati supremi il pronunciamento definitivo che è arrivato mercoledì. La sentenza, firmata dal giudice Ben Stephens, ha chiarito che insegnare la religione ai bambini in modo non «obiettivo, critico e pluralistico» equivale a «proselitismo e indottrinamento». Ma si preoccupa pure di sottolineare che non è un tentativo di “secolarizzazione” del sistema educativo perché «l’educazione di ispirazione cristiana non è vietata». Cosa, dunque, significa? Secondo gli addetti ai lavori è molto probabile, adesso, che il ministero dell’Istruzione debba rimettere mano ai programmi scolastici per far conoscere ai bambini un’ampia gamma di religioni e filosofie.
Il pronunciamento ha sollevato un polverone. Molti, soprattutto tra i conservatori, fanno notare che la scuola primaria non può chiedere ai bambini di cimentarsi in studi religiosi comparati . Ci si chiede, inoltre, quanto bene possa fare alla comunità la rottamazione di un curriculum appositamente pensato per la riconciliazione avviata dopo i terribili anni dei Troubles. L’Irlanda del Nord non può «disfarsi della propria identità», scrive l’editorialista Stephen Daisley, «senza destabilizzare le consuetudini, gli atteggiamenti e le convenzioni che poggiano su di essa. Quell’eredità è un muro portante. Abbatterlo è pericoloso».
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