Un missile nel kibbutz dell'orrore non ferma il desiderio di pace
di Nello Scavo, Inviato a Netiv Haasara
A Netiv Haasara, dove per primi piombarono i deltaplani di Hamas portando la morte, è precipitato un razzo

Poco prima delle 6.29, il momento esatto in cui la furia di Hamas tracimò pressoché indisturbata sulle comunità israeliane intorno a Gaza, mentre a piccoli gruppi si riunivano sul fare dell’alba per piangere i morti e provare a non disperare per quelli ancora vivi, un razzo Qassam sparato dal Nord della Striscia ha colpito di sorpresa il kibbutz di Netiv Haasara.
Stavolta nessuno si è fatto male. Ma è stata un’altra pugnalata alle spalle della lotta di chi sognava un giorno di poter convivere insieme. Un tradimento come due anni fa. A poca distanza c’è ancora il “Sentiero della Pace”, un progetto che è rimasto. Sfidando le autorità israeliane e la diffidenza diffusa decine di giovani passavano di qua, e altri ci abitavano per scelta o per lavoro. Decoravano la barriera di cemento armato con messaggi di pace, che già allora voleva dire contestare le politiche del governo.
Dicevano che dopo la mattanza di due anni fa non ci sarebbe mai più stata neanche una parola per quelli che stanno dietro al muro. Dicevano che per la gente da questa parte del muro, quei palestinesi che qui chiamano genericamente «arabi», sarebbero rimasti per sempre dei fantasmi a cui dare la caccia. Umanità senza volto, nascosta dalla massiccia paratia, che si è presentata nel modo peggiore e nel giorno peggiore.
Tra i campi che di primavera arrossiscono di tulipani, non ci sono più i visitatori che venivano a incollare sulla muraglia le colorate piastrelle di ceramica diventate un simbolo della contestazione e della speranza. Quello che accadde è riportato in sintesi e con parole prive di odio già all’ingresso del villaggio-fattoria. Di fianco al cartellone che commemora Bilhaa e Yaakobi Yinon, la coppia trucidata nella loro casa data poi alle fiamme con i loro corpi agonizzanti: «Tre militanti di Hamas con alianti a motore e successivamente in auto – si legge – hanno danneggiato la torre di comunicazione militare, impedendo l’invio di un avviso alla squadra di sicurezza. I terroristi hanno ucciso tre membri della squadra di primo intervento e 15 civili. Hanno anche ferito molte persone e bruciato due case. Alle 13:00, le forze israeliane sono arrivate alla fattoria e l’hanno messa in sicurezza». Amnon Ziv era il capo della squadra di intervento. Neanche il tempo di comunicare l’allarme che era già morto. La torretta di avvistamento è ancora colorata blocco a blocco. Da lontano sembra un cubo di mattoncini giocattolo.
Mai nessuno si sarebbe aspettato che in questi due anni, altri ragazzi, coetanei di chi era a poca distanza da qui per il “Nova music festival”, silenziosamente sarebbero tornati per continuare a colorare la barriera e non farsi vincere dalle parole dei predicatori di odio.
Anche ieri, nonostante il razzo piombato poco distante da Netiv Haasara, sollevando un mucchio di polvere. Ariel, che coltiva peperoni e prima della guerra commerciava con i commercianti di Gaza, dice che non si sentirà mai più al sicuro: «I nostri dicono che elimineranno Hamas. Ma chi ce lo dice? Gli stessi che non hanno ascoltato le soldatesse?». Erano le vedette sulla Striscia, molte sono state uccise, diverse sono state sequestrate, altre sono riuscite a scappare. Non è facile trovarle. Hanno l’ordine di non parlare, per ora. Le poche che si lasciano rintracciare promettono che quando sarà finita, allora parleranno e chiederanno «perché non ci avete ascoltate?». Non furono le sole a implorare che si facesse qualcosa, prima che si arrivasse a oltre 1.250 morti e 300 rapiti.
Mentre ieri il premier israeliano inviava un messaggio per ricordare le vittime e promettere che ci sarebbe stata giustizia per loro e sicurezza per Israele, l’emittente Channel 12 ha pubblicato parti di una lettera. Quasi tre mesi prima dell’attacco del 7 ottobre 2023, l’allora capo di stato maggiore Herzi Halevi aveva avvertito il premier che la strategia di Israele stava crollando, e che Hamas stava per approfittarsene. Le forze armate israeliane dicono di controllare circa il 70% della Striscia. Soprattutto ripetono che Gaza City, a un tiro d’arco da qui, è oramai nelle loro mani e che Hamas lì è solo un fantasma. E proprio da una di quegli isolati di macerie silenziose, ieri mattina si è materializzato l’ordigno. Scagliando il Qassam, di quelli che Hamas si fabbrica da sola, i miliziani hanno voluto mandare un messaggio. I servizi segreti parlano di oltre 700 chilometri di tunnel a diverse profondità. Quasi il doppio della metropolitana di Londra con le sue 272 stazioni. Due diverse fonti dell’intelligence, una israeliana e una europea, concordano nel ritenere che senza approvvigionamenti dall’esterno Hamas e i gruppi affiliati «potrebbero resistere da pochi mesi ancora e fino a tre anni all’attuale intensità dello scontro». L’uccisione di migliaia di fondamentalisti non ha impedito al gruppo di arruolare centinaia di giovani. Forgiati in fretta sopra e sotto il campo di battaglia, non sono in grado di padroneggiare la Striscia, ma possono continuare a minacciare anche la stabilità di una lunga tregua.
In attesa che giungano buone notizie dal negoziato sul Mar Rosso, in Cisgiordania affrontano una crescente pressione. Come una continua e ininterrotta punizione trasversale, anche i palestinesi fuori Gaza pagano.
Nella Valle del Giordano un gruppo di coloni hanno preso d’assalto la piccola comunità di Khirbet, scatenando il panico. Nei dintorni di Ramallah, il capoluogo amministrativo di uno stato senza continuità territoriale com’è la Palestina, le forze israeliane hanno rafforzato i posti di blocco e chiuso diversi varchi, provocando ingorghi ed estenuanti attese in auto prima di potersi muovere. Nelle roccaforti della resistenza armata c’è chi il 7 ottobre lo ha invece festeggiato e già ieri sera i blindati israeliani che scortano le ruspe demolitrici, sono entrate in diversi campi profughi per regolare i conti.
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