venerdì 6 settembre 2019
Il dittatore guidò il Paese africano dal 1980, subito dopo l'indipendenza dal Regno Unito, al 2017 quando fu deposto da un colpo di stato la sciando un Paese in rovina
Foto Ansa

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E' morto a 95 anni l'ex presidente zimbabwese Robert Mugabe. Lo rende noto l'attuale capo di Stato dello Zimbabwe, Emmerson Mnangagwa. Mugabe era stato costretto a dare le dimissioni nel 2017, dopo 37 anni al potere. Le sue promesse iniziali furono progressivamente disattese a causa dell'instabilità economica, di brogli elettorali e di continue violazioni dei diritti umani.

La sua morte, avvenuta in una clinica di Singapore dove era ricoverato, è stata confermata questa mattina in un tweet dal suo successore, il presidente Emmerson Mnangagwa, che ha definito Mugabe una "icona della liberazione", senza fornire alcun dettaglio sulle cause del decesso. Mugabe, che salì al potere alla fine del governo di minoranza bianca nel 1980, attribuiva i problemi economici del Paese alle sanzioni internazionali e non nascondeva il suo desiderio di governare vita natural durante.

Tuttavia, il crescente malcontento legato alla mancanza di una leadership unita, a una devastante crisi economica e ad altri problemi è sfociato nell'intervento militare, nel procedimento di impeachment da parte del Parlamento e nelle proteste di strada che hanno portato alle dimissioni di Mugabe il 21 novembre del 2017. Pechino, secondo molti osservatori ispiratrice del golpe del 2017, ha reso omaggio all'ex presidente dello Zimbabwe salutando "un leader e politico eccezionale del movimento di liberazione nazionale". Secondo il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Geng Shuang, Mugabe ha difeso "la sovranità del suo Paese, si è opposto alle interferenze straniere e ha promosso attivamente l'amicizia e la cooperazione Cina-Zimbabwe e Cina-Africa".

Durante i 37 anni alla guida dello Zimbabwe (1980-2017) Robert Mugabe è passato da eroe dell'indipendenza, nelle grazie dell'Occidente a despota responsabile del collasso economico del suo Paese. Alle sue umilianti dimissioni, avvenute sotto pressione dei militari nel 2017, è sopravvissuto meno di due anni. Quando prese le redini dell'ex Rhodesia - divenuta indipendente nel 1980 dopo sette anni di guerra di liberazione che mise fine a quasi un secolo di potere coloniale britannico - Robert Mugabe ha il consenso di tutti. In dieci anni, il Paese sembra macinare passi da gigante: si costruiscono scuole, centri sanitari e nuovi alloggi per la maggioranza nera. Molto presto, però, il leader dell'indipendenza inizia a usare il pugno di ferro contro i suoi avversari. Nel 1982, manda l'esercito nella provincia"dissidente" di Matabeleland, terra dell'etnia ndebele e del suo ex alleato durante la guerra di indipendenza, Joshua Nkomo. La brutale repressione fa circa 20mila morti. Il mondo, però, chiude gliocchi, fino agli anni 2000, quando l'idillio con le cancellerie internazionali finisce, sotto il peso del suo abuso di potere, le frodi elettorali e della sua violenta riforma agraria, che costrinse di fatto la comunità di contadini bianchi - che ancora deteneva gran parte della terra del Paese - a lasciare in massa lo Zimbabwe.

La riforma agraria fa collassare un'economia già in difficoltà. Mugabe finisce per addossare all'Occidente imperialista tutti i mali del suo Paese e respinge tutte le accuse di autoritarismo. Negli ultimi anni della sua vita, è impegnato a fugare le voci sul suo cattivo stato di salute e promette di rimanere al potere 100 anni. Non manterrà la sua parola. Nel 2017, licenzia il suo vicepresidente Emmerson Mnangagwa, sotto la pressione della sua influente e ambiziosa moglie Grace. Si tratta di un errore fatale: l'esercito inizia a fare pressione e il dittatore resiste con tenacia. Rifiuta di accettare la sua espulsione dal suo stesso partito, Zanu-Pf, finché il Parlamento non inizia una procedura di impeachment. Dopo quello che in seguito lui stesso definirà "un colpo di Stato" militare, il longevo dittatore si dimette il 21 novembre 2017 all'età di 93 anni. La piazza festeggia. Per Mugabe è una umiliante fine politica.

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