
Daria Kusenko con il marito Roman e la figlia Maria che hanno appena adottato una neonata a Chuhuiv - Gambassi
Non hanno più la loro casa. «È stata bombardata, come gran parte del villaggio», raccontano Olena e Oleksiy Trochxmcenko. Sono moglie e marito. Hanno 51 e 54 anni. E il missile finito in mezzo alle stanze in cui vivevano a Lebyazhe li ha costretti a trasferirsi. «Adesso alloggiamo in una casa di amici che si sono rifugiati all’estero. Consideravano troppo pericolosa la zona». Difficile dare loro torto quando si abita nel distretto di Chuhuiv, l’angolo della regione di Kharkiv a cinquanta chilometri dal capoluogo dove l’esercito del Cremlino ha strappato all’Ucraina l’enclave di Vovchansk nell’offensiva lanciata a maggio sull’oblast dell’est del Paese. Un’incursione dagli esiti limitati per Mosca, ma che ha destabilizzato il territorio a ridosso del confine con la Russia facendolo ripiombare nel terrore dei primi mesi di guerra.
Oleksandr Apostol, vice-capo dell’amministrazione militare di Chuhuiv - Gambassi
«Vovchansk è una città che ormai non esiste più: tutta rasa al suolo - spiega Oleksandr Apostol, vice-capo dell’amministrazione militare -. Ogni tanto, quando sentiamo certi boati, sappiamo che alcuni sabotatori russi provano a entrare attraversando la frontiera. Ma i nostri li respingono». Una pausa. «Abbiamo molti edifici distrutti. Droni, missili e razzi telecomandati sono all’ordine del giorno qui», aggiunge Oleksandr, mentre indica una palazzina sventrata accanto agli uffici del Comune di Chuhuiv. «Abbiamo già sostituito due volte i vetri alle finestre dei nostri dipartimenti», chiarisce. Il che significa che il quartiere è stato centrato almeno due volte.

I coniugi Trochxmcenko con alcuni dei dieci ragazzi adottati nei mesi di guerra - Gambassi
La pioggia di fuoco dal cielo e l’incubo di nuovi blitz via terra non hanno fermato la missione dei coniugi Trochxm-cenko: dare una famiglia ai ragazzi che non ce l’hanno più. Orfani di guerra, piccoli rifiutati da chi non se la sente di allevare un figlio sotto le bombe, ragazzini che i genitori non riescono a crescere. Così l’adozione diventa una risposta alla brutalità dell’aggressione russa, nonostante «la casa che abbiamo perso, il lavoro che non c’è più, le difficoltà ad andare avanti. Ma restiamo convinti che questo sia il tempo in cui occorra rimboccarsi le maniche», ripetono Olena e Oleksiy. Dieci i piccoli che hanno accolto nella loro abitazione di fortuna. Come altre ventuno famiglie del distretto di Chuhuiv che hanno aperto le porte a «88 ragazzi che vanno da pochi mesi a sedici anni. È un segno di speranza», fa sapere il vice-capo dell’amministrazione militare. Accanto alle famiglie adottive o affidatarie c’è la Caritas greco-cattolica di Kharkiv che consegna regolarmente carichi di aiuti ai «bambini che soli non sono rimasti grazie a uno straordinario esempio di solidarietà», sottolinea suor Oleksia Pohrsnychna, energica religiosa di San Giuseppe.
La Caritas greco-cattolica consegna gli aiuti umanitari alle famiglie di Chuhuiv che adottano gli orfani di guerra - Gambassi
Alcuni dei bambini adottati dalle famiglie di Chuhuiv sotto le bombe russe - Gambassi